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 2015  gennaio 20 Martedì calendario

Ultime sul toto-Quirinale: dall’incontro Berlusconi-Alfano spunta il nome di Antonio Martino, Casini o Amato come alternative condivise. Il Dottor Sottile ancora favorito assoluto, Mattarella stabile, in calo Prodi, tra gli outsider si aggiunge Ugo De Siervo, mentre riprendono quota Anna Finocchiaro e Ignazio Visco. Il candidato del M5s potrebbe essere Nino Di Matteo. Intanto Renzi ascolta in silenzio tutte le proposte e non si sbilancia

Il meglio dai giornali di oggi sulla corsa per il Quirinale.
 
«Se Renzi vuole uscire vivo da questo Vietnam l’unica è che proponga subito a Bersani di andare al Quirinale». Mario Mauro, senatore ex montiano, fornisce una chiave di lettura paradossale di quanto sta avvenendo in Parlamento a dieci giorni dall’inizio delle votazioni per il Colle. Ma fotografa una verità: alla vigilia della battaglia finale sull’Italicum mai come in questo momento il Pd risulta spaccato» [Francesco Bei, Rep].
 
La tensione nel Pd è cresciuta negli ultimi giorni. E l’incontro della scorsa settimana tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi non è andato affatto bene. L’ex segretario ha confessato ai suoi: «Quel colloquio mi ha lasciato interdetto». Renzi non ha fatto un nome per il Quirinale a Bersani, il quale da parte sua ha aperto all’ipotesi di una candidatura di Giuliano Amato, che, com’è noto, è caldeggiata da Silvio Berlusconi. Insomma, nonostante la scadenza dell’elezione del capo dello Stato sia imminente, tra la minoranza e Renzi non si è arrivati a un compromesso [Maria Teresa Meli, Cds].
 
Mentre stamattina Silvio Berlusconi ha incontrato Renzi, ieri sera, in Prefettura a Milano il Cavaliere ha avuto un faccia a faccia con Angelino Alfano. Temi principali di entrambi gli incontri: la scelta del prossimo presidente della Repubblica e il percorso delle riforme. I leader di Forza Italia e Ncd avevano accanto le rispettive delegazioni: Toti e Ghedini da una parte, Lupi e Quagliariello dall’altra e Cesa in rappresentanza dell’Udc [tutti i giornali].
 
Alla fine delle quasi due ore di colloquio, è stato Alfano ad annunciare quella che si profila come una svolta: «Abbiamo deciso di unire le forze che si riferiscono al Ppe per condividere la scelta di un candidato presidente della Repubblica di area moderata e non del Pd. Ci rivedremo nei prossimi giorni per indicare un nome. Abbiamo concordato sul metodo», che vedrà una consultazione permanente [tutti i giornali].
 
Forza Italia e Ncd dovrebbero avanzare una rosa di nomi, oppure proporre la candidatura di Antonio Martino alla prima votazione, che rappresenterebbe la «bandiera» sotto la quale contare i propri voti e farli pesare per il quarto scrutinio (a maggioranza assoluta). Solo a quel punto, verificata la tenuta dei rispettivi eserciti, si cercherebbe di far passare uno dei due candidati ad oggi fra i più gettonati del toto-Quirinale: o Amato (che però non sarebbe certo il più gradito a Renzi) o Casini, sul quale potrebbe convergere senza sforzo l’area ex popolare del Pd [Paola Di Caro, Cds].
 
Quasi tutti i giornali concordano sul fatto che a questo punto della corsa, Giuliano Amato è in testa. Massimiliano Scafi sul Giornale: «Di sinistra ma non troppo. Parla bene l’inglese e sa di economia. Ha scritto la nuova Costituzione europea. Piace a Washington, a Berlino e a Bruxelles. Politico di grande esperienza, giurista di lungo corso e da 2013 è giudice costituzionale. Può essere lui, dicono, l’uomo capace di mettere d’accordo Renzi, Berlusconi e Alfano. Silenzioso da mesi, Amato sta lavorando anche sul suo punto debole, la popolarità».
 
Pippo Civati, uno dei più lontani da Renzi nel Pd, vede Mattarella davanti al Dottor Sottile. «Matteo non aspetterà il quarto scrutinio, ci dirà subito per chi votare. Credo che pensi a un giudice costituzionale. Se dovessi scommettere dieci euro sul nome, io direi Mattarella» [Massimiliano Scafi, Grn].
 
Racconta Sebastiano Messina di Rep che ieri a Montecitorio «a metà pomeriggio è spuntato Orfini, l’altro Matteo del Pd. Era di buon umore. “Volete il nome del mio candidato?” ha chiesto ai giornalisti. “Ve lo dico: Clarence Seedorf. Ah, voi parlavate del Quirinale? Io pensavo della panchina del Milan…”. In quel momento attraversava a passo svelto il Transatlantico Antonio Martino, che stavolta non sarà tra i grandi elettori ma è una delle voci più ascoltate da Berlusconi (che gli diede la tessera numero 2 di Forza Italia). Anche lui era allegro. “Come diceva Lenin, cercate il grano delle cose sotto la paglia delle parole. E io sotto la paglia delle parole di Renzi non vedo nulla”».
 
Dopo cinque minuti è arrivata Rosy Bindi. Ancora Messina: «Era trafelata – per il ritardo – e si è tolta la sciarpa di seta con fiori blu mentre entrava in aula, di fretta perché nel Transatlantico già risuonava il cicalino che annuncia le votazioni. Quando è uscita non ha voluto commentare le voci di una convergenza dei bersaniani su Amato, che notoriamente non dispiace a Massimo D’Alema. “Ma state attenti – ha detto – a non confondere i dalemiani con i bersaniani. I dalemiani sono una cosa ben definita, i bersaniani ormai sono una galassia con tanti pianeti e numerosi satelliti, ed è difficile dire se la pensano tutti allo stesso modo”. Ma lei, abbiamo provato a chiederle, chi preferirebbe al Quirinale? Amato? Mattarella? Veltroni? “Io un nome ce l’avrei. Ma non lo dico neanche sotto tortura perché se Renzi viene a sapere che c’è un candidato che mi piace, automaticamente quel nome è bruciato”».
 
Scrive Francesco Bei su Rep che «da ieri, sulle frequenze di Radio Montecitorio, sono tornati a frusciare i nomi di alcuni esterni di lusso. Come Ugo De Siervo, già presidente della Corte costituzionale. Un candidato nato in riva all’Arno, il che non guasta nell’era renziana. Oltre al sempreverde Mattarella, si è quindi iniziato a guardare a Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. E le previsioni per la prima volta ottimistiche, uscite ieri da Bankitalia per bocca del direttore generale Salvatore Rossi sono subito risuonate in Parlamento come una conferma della nuova sintonia tra Visco e il premier».
 
La lista degli outsider comprende anche Anna Finocchiaro, possibile cerniera fra l’ala bersaniana e i renziani. Soprattutto se l’Italicum dovesse passare indenne le forche caudine del Senato. Ieri, nella buvette di palazzo Madama, l’ex magistrato Finocchiaro, elegantissima come una Iotti, distribuiva sorrisi e scongiuri a chi la salutava con un «signora Presidente» [Francesco Bei, Rep].
 
Emma Bonino si era tirata fuori per motivi di salute, ma Marco Pannella la rimette in posta: «Senza dubbio, se fosse chiamata in causa, Emma si assumerebbe la responsabilità». In calo invece le quotazioni di Romano Prodi. Secondo quanto si dice in Transatlantico, la manovra a tenaglia organizzata dalla sinistra Pd e da Sel, spingere il Professore nei primi tre scrutini per mettere Renzi davanti al fatto compiuto, non sta trovando la necessaria sponda grillina. M5S infatti dovrebbe votare per Nino Di Matteo [Massimiliano Scafi, Grn].
 
La tattica del premier al momento consiste nel non dire né sì né no di fronte alla maggior parte dei nomi che gli vengono fatti. Una cosa è certa: non vuole farsi imporre nessun papabile, non intende finire questa partita quirinalizia con le spalle al muro, costretto a scegliere un nome altrui. «Vedo che ci sono molti professionisti della politica che si sono autocandidati», si limita a dire in questi giorni ai fedelissimi, continuando a tenere ben coperte le sue prossime mosse [Maria Teresa Meli, Cds].