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 2015  gennaio 20 Martedì calendario

È il giorno della riforma delle banche popolari. Favorevole il governatore di Bankitalia Visco, polemico Matteo Salvini («Faremo barricate»). Dietro il riassetto c’è anche il futuro di Mps e Carige. Possibili nuovi matrimoni fra banche

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi lo ha confermato ieri ai senatori del Pd: la riunione di governo convocata per oggi alle 13 si occuperà anche di un intervento sul mondo del credito. Dunque, le norme di riforma delle banche popolari verranno discusse contestualmente al decreto-legge «Investment compact». Non è detto, però, che assumano la veste dei due commi secchi che prevedano sic et simpliciter l’abrogazione dell’intero articolo 30 del Testo Unico bancario, quello che disciplina i soci delle banche popolari e che stabilisce il voto capitario (ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute) il tetto dell’1 % per le partecipazioni dei singoli soci, il numero minimo di soci (200). Dubbi e perplessità sull’opportunità di procedere in modo tranchant in questo campo si sono levati tanto da parte dei diretti interessati ( le popolari, le bcc) quanto da parte del mondo politico. E a tarda sera i lavori erano ancora in corso a via XX settembre e a Palazzo Chigi, per dare una veste più articolata alla normativa.
Nel provvedimento è previsto anche l’obbligo di trasferibilità del conto corrente in 15 giorni, senza spese di portabilità per il cliente e con eventuale risarcimento proporzionale al ritardo.
Sul fatto che una riforma sia necessaria e resa urgente anche dalla velocità impressa dalla crisi alle trasformazioni del mondo bancario, peraltro, non ci sono dubbi. A più riprese, del resto, il Governatore Ignazio Visco aveva sollecitato un provvedimento: «La Banca d’Italia riconosce il modello cooperativo- aveva affermato ad esempio Visco all’assemblea annuale dell’Abi – ma non abbiamo mai fatto mistero della nostra convinzione che, per le banche popolari più grandi, quotate in Borsa, operanti a livello nazionale o internazionale, sarebbe opportuno un diverso assetto societario». E un analogo auspicio era venuto anche dal Fondo monetario internazionale nonché dalla Commissione europea. Per chiarire la portata del provvedimento di modifica il portavoce del premier Filippo Sensi ha poi rilanciato, ieri sera, via twitter, un’analisi di Reuters secondo la quale, cambiando la norma che assegna uguali diritti di voto agli azionisti delle banche del settore cooperativo in Italia il presidente del consiglio Renzi riuscirebbe ad accrescere la concorrenza e anche ad affrontare la questione del futuro della banca Monte dei Paschi, perché togliere la norma «una testa un voto», almeno per le popolari quotate in Borsa, potrebbe aprire la strada per una fusione tra Mps e una delle maggiori popolari, come Ubi.
Sennonché dal mondo politico, proprio ieri, è partito un fuoco di fila. Il più netto è stato il segretario della Lega Matteo Salvini, che si è detto «pronto a salire sulle barricate a difesa dei territori. Intanto, fermiamo questo tizio». Il Carroccio si è anche detto pronto a un esposto, sospettando una misura che favorisca il salvataggio di Mps. Il presidente di Assopopolari, Ettore Caselli, che è anche presidente della Bper, si è invece detto «perplesso» sulle ipotesi circolate e ha ricordato come l’associazione avesse nominato una Commissione composta da accademici di chiara fama, composta dal Presidente, Prof. Angelo Tantazzi, dal Prof. Piergaetano Marchetti e dal Prof. Alberto Quadrio Curzio«con il compito di elaborare un modello di banca popolare ancor più rispondente alle mutate esigenze del mercato».
Già lo scorso venerdì, peraltro, erano scattate le prime voci critiche, a partire dai sindacati del settore, preoccupati per possibili tagli del personale a seguito delle aggregazioni, ma anche nello stesso Pd: da Fioroni, preoccupato per sorti della finanza cattolica molto presente nel settore delle popolari, a Boccia. Ieri, il fronte si è allargato anche al centrodestra e in particolare a Forza Italia dove si sono espressi contro Renata Polverini, Anna Cinzia Bonfrisco e Maurizio Gasparri. Anche il segretario generale del sindacato Fiba Cisl si è pronunciato contro il ricorso al decreto, ricordando come le popolari siano le più generose verso le Pmi e attaccando «l’effetto annuncio» che ha permesso «enormi rialzi» sui mercati finanziari.

Rossella Bocciarelli

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A vedere la reazione euforica dei listini, appare chiaro quanto il mercato giudichi positivamente l’ipotesi della trasformazione delle popolari in Spa. I rialzi hanno interessato tutti i principali istituti popolari, da Bpm a Banco Popolare, da Ubi a Bper, da Creval a Pop Sondrio, con guadagni fino al 14 per cento.
Il ragionamento è semplice. Gli investitori vedono di buon occhio la cancellazione del voto capitario perchè aprirebbe la porta all’ingresso dei fondi di investimento nei capitali degli istituti. Verrebbero così incentivate operazioni straordinarie come gli aumenti di capitale e le fusioni, che i piccoli soci fanno molta più fatica a digerire.
Il mercato sta insomma pregustando un consolidamento tra banche che, secondo gli analisti di Equita, potrebbe portare a un rialzo superiore al 20%, fino a ieri non incorporato nei multipli. Senza contare, come segnalava Barclays ieri, che le banche italiane trattano a sconto del 50% sul proprio valore di libro, e quindi appaiono a buon mercato.
Difficile dire se alla fine la riforma si farà. Anche perch* il mercato delle popolari è da anni in attesa di una riforma della governance che è sempre stata affossata in parlamento. Non è un caso che Banca d’Italia e Bce spingano, più o meno formalmento per un consolidamento del settore, che rimane il secondo più frammentate d’Europa dopo quello tedesco.
«La percezione degli investitori è che vi sia una preferenza da parte dei regolatori per una maggior concentrazione nel mercato bancario italiano», spiega Matteo Ramenghi, strategist sulle banche Emea per Ubs. Tuttavia «questa pressione dovrebbe permanere anche in caso di rallentamenti sull’evoluzione della governance», aggiunge il capo-analista.
I casi Mps e Carige
Questa volta peraltro c’è un elemento in più che potrebbe spingere in porto la riforma, e spiegare forse l’accelerazione improvvisa del governo sul tema della cancellazione del voto capitario. Ed è l’urgenza di trovare una soluzione al problema della grande “malata” italiana, ovvero Mps, uscita con un deficit di capitale da 2,1 miliardi dagli esami della Bce e oggi alla ricerca di un partner.
È da qua – guarda caso una banca Spa – che potrebbe scattare l’ipotetico risiko bancario. I predatori, invece, potrebbero uscire proprio dalla cerchia del mondo delle popolari, al contrario uscito con buoni voti dal Comprehensive Assessment. Il nome che circola per l’acquisto di Siena è Ubi, una delle banche più patrimonializzate in Europa. Non è impossibile che una Spa entri in una popolare (del resto la stessa Ubi nasce dall’incorporazione di una Spa come Banca Lombarda nella popolare Bpu). Ma la trasformazione in Spa agevolerebbe l’istituto bergamasco nella ricerca di capitale fresco da investire nella ricapitalizzazione di Siena. Il cambio di governance di Ubi aiuterebbe un matrimonio anche qualora avvenisse con scambio di carta contro carta, a cui potrebbe seguire successivamente un aumento di capitale.
Discorso analogo si potrebbe fare per Carige, altra banca Spa che potrebbe essere oggetto di un salvataggio da parte di un’altra popolare solida come Bpm. In questo caso i rapporti di forza sono diversi, visto che la milanese capitalizza quasi cinque volte l’istituto ligure. Ma analogamente, il cambio di governance renderebbe più facile il deal. Non è escluso che la banca lombarda provi di nuovo la strada dell’aggregazione con Bper, altro istituto premiato dagli esami della Bce. Così come resta in pole position anche il Banco Popolare, che potrebbe acquisire Veneto Banca (anche se in questo caso ci sarebbe il problema dei prezzi, visto che i veneti non sono quotati).
Più piccolo, ma comunque, urgente è anche il caso di Banca Etruria, il cui capitale è oramai al di sotto dei minimi regolamentari. In questo caso la banca è da tempo alla disperata ricerca di un partner e ha già dato mandato al Cda per trasformarsi in Spa.
I contatti in corso
Ieri è stata una lotta contro il tempo, con incontri frenetici a livello istituzionali e un vertice anche tra Assopopolari e Banca d’Italia. Oggi il governatore Visco parlerà al comitato esecutivo Abi a Roma, in un incontro fissato da tempo. Inevitabile che il tema della riforma della governance finisca sul tavolo. Difficile d’altra parte prevedere l’esito delle mosse del governo, anche se da più parti nel mondo delle popolari si auspica che il governo scelga la strada del disegno di legge, e non quello, più tranchant, del decreto legge. In quel caso, forse, potrebbero essere esplorate strade alternative, che favorirebbero il cambiamento pur mantenendo il principio del voto capitario. Un’ipotesi è quella dell’innalzamento al 3% delle quote detenute dai fondi, o l’inserimento dell’obbligo di due o più posti nei Cda riservandoli ai fondi. È il modello della “popolare ibrida”, modalità già sperimentata negli statuti di Bpm e Ubi. Un’altra controproposta delle popolari potrebbe essere quella di azzerare la richiesta di una maggioranza qualificata per operazioni straordinarie come i progetti di fusione. Così da agevolare il via al risiko.
Luca Davi