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 2015  gennaio 20 Martedì calendario

Il nemico dei banchieri che a inizio ’900 anticipò Stiglitz. Tradotto per la prima volta il pamphlet di Louis Brandeis, padre nobile dei progressisti americani. Un manifesto contro i monopoli

«L’elemento dominante della nostra oligarchia finanziaria è il banchiere d’investimento». Joseph Stiglitz? Paul Krugman? No, Louis Dembitz Brandeis (1856-1941). Un nome che, probabilmente, a noi italiani non dice granché e, invece, risulta ben noto in America, dove viene considerato un innovatore della tecnica legale – come nel caso del «Brandeis brief», che introdusse all’interno del dibattimento processuale il supporto per le parti del «parere informato» di specialisti ed esperti. E dove, soprattutto, rappresenta un pilastro dell’identità politico-culturale (e della coscienza) dei liberal, al punto che una delle riviste simbolo di quel mondo, il settimanale The Nation, l’ha inserito nel pantheon dei 50 progressisti più influenti del Novecento.
Di sicuro – a proposito di corsi e ricorsi storici – tornano adesso di attualità le tesi dell’eminente giurista e studioso che, dal 1916 al ’39, fu anche membro della Corte Suprema. Esce per la prima volta in italiano il suo testo più significativo, I soldi degli altri e come i banchieri li usano (Edizioni di Storia e Letteratura, trad. di Rossella Rossini, introduzione di Lapo Berti, pp. 282, € 18), la raccolta dei suoi articoli pubblicati tra fine 1913 e inizio 1914 sul periodico politico Harper’s Weekly. Un circostanziato e argomentato j’accuse contro l’iperclasse di banchieri e big della finanza che potrebbe calzare a pennello pure all’odierno Occidente in recessione e post-crisi dei mutui subprime. E un pamphlet battagliero intriso di quelle idee che avevano fornito le munizioni alla vittoriosa campagna elettorale del ’12 di Thomas Woodrow Wilson; il quale, divenuto ventottesimo presidente degli Usa, ricompenserà il giurista suo consigliere, dopo aver vinto l’accanita opposizione di detrattori ricchi e famosi che lo dipingevano come un radical, nominandolo tra i Justice della Suprema Corte.
L’età delle riforme sociali
Mentre in Europa si annunciavano da lontano i venti che avrebbero condotto alla carneficina della Grande guerra, dentro i confini degli Usa imperversavano i conflitti economici e dilagava l’apprensione generale rispetto a mercati nei quali, sull’onda dell’impressionante processo di industrializzazione dell’800, si andavano imponendo enormi concentrazioni economiche in svariati settori strategici. Ne sarebbe scaturita l’Età progressista, a cavallo tra i due secoli, che si caratterizzò per una formidabile spinta (e per le correlate massicce resistenze) verso l’approvazione di riforme sociali, economiche e della legislazione del lavoro volte a cercare di addomesticare il capitalismo delle nascenti corporation e dei cosiddetti «baroni ladroni» monopolisti e oligopolisti – nei cui confronti fu rilevantissimo il ruolo da watchdog, ovvero da «cani da guardia» e sentinelle, svolto da un fitto esercito di grandi giornali e fogli locali.
Nell’anti-aristocratica America si erano generate nuove dinastie del denaro – i Rockefeller, i Vanderbilt, i Carnegie e gli Astor – che sedevano su fortune immense (ammontanti a cifre comprese tra i 100 e i 200 milioni di dollari, 10 volte più grandi dei patrimoni dei loro omologhi britannici). Il leader politico del populismo (termine che Oltreoceano ha un significato diverso rispetto all’Europa) progressista era appunto lo scienziato politico accademico Woodrow Wilson, che spostò il Partito democratico su posizioni molto più avanzate di quelle dei decenni precedenti. Anche per merito di quella piattaforma programmatica schiettamente liberal, compendiata sotto lo slogan della «New Freedom», che prevedeva tre riforme «di struttura» – dell’antitrust, delle tariffe doganali e del sistema bancario – e la cui elaborazione si doveva in buona parte proprio a Brandeis.
I soldi degli altri e come i banchieri li usano è dunque il manifesto teorico della lotta contro i monopoli e l’ideologia del laissez-faire, e ha sullo sfondo il loro portabandiera principale, il pressoché onnipotente merchant banker John Pierpoint Morgan, il quale, attraverso l’esercizio e il perfezionamento dell’istituto del trust, divenne il facilitatore della costituzione di quelle concentrazioni che Brandeis contrastava.
Un elogio delle classi medie
Quella contro cui si scagliava il giudice era precisamente la «maledizione della grande dimensione», facendosi interprete in questo della permanenza, nell’opinione pubblica dell’epoca, della visione fondativa degli Stati Uniti quale «armonica» repubblica di piccoli produttori e agricoltori che gli oligopoli andavano a corrompere, col rischio di minare le fondamenta stesse della liberaldemocrazia rappresentativa. Ecco perché il libro dell’«avvocato del popolo» Brandeis (che si dedicò anche al patrocinio gratuito di cause a tutela dei diritti violati di vari lavoratori e, insieme con il sodale Samuel Warren, fu uno dei progenitori del diritto alla privacy) rappresenta un elogio implicito della mobilità sociale e della centralità delle classi medie su cui è stato edificato, e di cui si è nutrito, il sogno americano.