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 2015  gennaio 20 Martedì calendario

Morte di un magistrato scomodo. Il giudice argentino Alberto Nisman è stato freddato con un colpo alla tempia alla vigilia della sua testimonianza contro la presidente Kirchner. Stava indagando sui rapporti tra Iran e la strage del 1994 al centro ebraico

«Da questa storia potrei uscirne morto», aveva detto pochi giorni fa il magistrato Alberto Nisman. «Ho avvisato mia figlia, su di me ne sentirai di tutti i colori», confidava in una intervista. Stamani al Congresso di Buenos Aires, commissione Giustizia, Nisman avrebbe dovuto presentare una delle più dure accuse possibili contro un capo di Stato: appoggio al terrorismo internazionale. Ma non potrà più farlo.
Alla vigilia dell’udienza Nisman è stato trovato morto nel bagno del suo appartamento, con un unico foro di proiettile alla tempia destra. Lo ha visto per primo la madre, che aveva chiesto di sfondare la porta insospettita dal suo silenzio. La notizia ha scosso l’Argentina: è un giallo in più nel grande mistero Amia, l’inchiesta alla quale Nisman lavorava da un decennio. Chi decise di far saltare in aria la sede della comunità ebraica di Buenos Aires, il 18 luglio 1994, uccidendo 85 persone?
Il giudice riteneva da tempo di aver la risposta in tasca, fu un complotto ordito da funzionari dell’ambasciata iraniana eseguito da un kamikaze hezbollah. Ma altrettanto scottante è ciò su cui Nisman stava indagando negli ultimi tempi. Il governo argentino, Cristina Kirchner in testa, avrebbe fatto un patto con il diavolo, un accordo segreto con l’Iran tre anni fa.
In cambio di forniture puntuali di petrolio, si sarebbe impegnato ad occultare le responsabilità di quel Paese nella strage. L’Argentina avrebbe avuto anche un accesso privilegiato al mercato iraniano per le sue esportazioni di grano e carne.
Nisman viveva, da solo, in un bilocale al 13esimo piano di un palazzo a Puerto Madero, l’ex zona portuale di Buenos Aires riconvertita in quartiere elegante. Nell’atrio del condominio, ma non al piano, ben dieci uomini di scorta. Lo studio ricolmo di carte e appunti, gli ultimi ritocchi alla relazione al Parlamento. In bagno, come ha detto sbrigativamente il ministro dell’Interno Sergio Berni, assai vicino alla Kirchner, «i segni evidenti di un suicidio: un corpo, una pistola, una cartuccia di proiettile, la porta chiusa dall’interno». Ma ci credono in pochi, pochissimi. Nisman era stanco ma assai motivato per la sfida alla Kirchner, aveva parlato a lungo con colleghi, amici e giornalisti senza destare sospetti di un crollo psicofisico, aveva fissato un paio di interviste per questa settimana. L’ipotesi più probabile è che il magistrato sia stato «suicidato». Ma da chi, e perché? Davvero il governo pensa che con la sua morte l’Irangate argentino si possa fermare? Chi ricorda tre casi simili avvenuti durante il decennio di Carlos Menem, e sempre legati a casi giudiziari, sostiene che in Argentina non bisogna stupirsi di niente.
Per tutta la giornata Cristina Kirchner non ha commentato la morte del giudice, e la tv pubblica ha trasmesso a lungo ricette di frittelle. Per il governo Nisman era una specie di appestato. Ma i suoi colleghi si sono mossi subito. Un magistrato è tornato dalle ferie per ereditare l’inchiesta. Pare che oltre 300 cd con testimonianze e intercettazioni, le prove del patto segreto con l’Iran, siano al sicuro, non erano nell’appartamento del giudice. Per la comunità ebraica in Argentina, la morte di Nisman è invece un colpo durissimo, «nessuno come lui sapeva tutto sull’attentato del 1994». In serata, per allontanare i sospetti, il governo Kirchner ha annunciato di voler togliere il segreto di Stato a tutti i documenti sul caso Amia.