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 2015  gennaio 20 Martedì calendario

«Prendiamo cinquemila dipendenti delle Province e delle forze armate in esubero e formiamoli per risolvere il problema dei tribunali». Con questa proposta, il vicepresidente del consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini vuole riempire il buco di settemila persone che mancano ai palazzi di Giustizia

Il vicepresidente del consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini ha la ricetta: «Prendiamo cinquemila dipendenti delle Province e delle forze armate, formiamoli e risolviamo il problema». 
Il problema è quello dei tribunali dove mancano, secondo stime del ministro della Giustizia Andrea Orlando, fino a settemila persone. Mentre lo svuotamento di funzioni delle Province, dice una proiezione fatta dalla Sose e da Nomisma, potrebbe produrre nei soli enti delle 15 regioni a statuto ordinario 20.593 esuberi. Logica vorrebbe che parte di quel personale venisse utilizzato per far fronte alle carenze di altre amministrazioni. Peccato soltanto che in certi casi la logica faccia a pugni con le regole burocratiche e le rigidità sindacali del pubblico impiego. Elementi che hanno sempre frenato, se non impedito del tutto, i passaggi fra pezzi diversi dell’amministrazione. 
Adesso però al ministero di quella che una volta si chiamava la Funzione pubblica hanno preparato una cosa per mettere in crisi il sistema consociativo fra sindacato e burocrazia interna che garantiva l’immobilità. Si tratta della «tabella di equiparazione» fra diverse funzioni amministrative che serve a tradurre i ruoli degli enti locali in quelli ministeriali. Ed è ciò che dovrebbe servire e rimuovere gli ostacoli ai trasferimenti dalle Province, ridimensionate nelle loro competenze, allo Stato. Grazie agli effetti di questa «tabella» si prevede che dovrebbero passare ai tribunali almeno 2 mila ex dipendenti provinciali. 
Per le strutture della Giustizia non sarebbe certo la soluzione definitiva, ma un passo avanti sì. E lo sarebbe anche per altri uffici pubblici in debito d’ossigeno verso i quali verrebbero dirottati altri esuberi. Soprattutto, un transito così significativo costituirebbe un precedente fondamentale per un’amministrazione disseminata di spaventose carenze a cui fanno riscontro sprechi inenarrabili di risorse umane. Senza contare le possibili conseguenze sul piano politico. 
La legge che porta il nome del sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio, che ha ridimensionato ruolo e poteri delle Province eliminando l’elezione diretta dei consigli, è stata fin dall’inizio bersagliata di critiche. Bordate sparate dagli stessi partiti che avevano sostenuto la necessità di abolire quegli enti, votando anche la legge in Parlamento. Chi muoveva l’accusa di aver menomato la rappresentanza democratica. Chi argomentava che non sarebbe cambiato nella sostanza proprio nulla. Chi sosteneva (e fra questi anche la Corte dei conti) che i risparmi alla fine sarebbero stati risibili. E continua a sostenerlo anche di fronte al taglio di un miliardo di euro l’anno previsto dalla legge di Stabilità con la motivazione delle minori funzioni assegnate agli enti di area vasta. 
Ora, poi, c’è anche un piano per abbattere un miliardo di debito pubblico con la vendita a un fondo gestito da Invimit, la società immobiliare pubblica nata un paio d’anni fa, di beni di proprietà delle Province per un identico ammontare. Con effetti positivi, garantisce la Funzione pubblica, anche sulla spesa corrente. Nonché sull’efficienza, se è vero che, come assicurano, il 25 per cento delle funzioni (quelle più inutili) sono evaporate. Auguri. 
In ogni caso il transito di massa verso i tribunali sarebbe un viatico importante. L’operazione Province si è presentata di una complessità enorme, anche a causa delle resistenze passive che si sono automaticamente messe in moto nel tentativo di scongiurare il pericolo per le solite rendite di posizione. Ma non mancano neppure molti punti di domanda, come quelli che erano già stati segnalati quasi un anno fa nella relazione sulla spending review. 
C’è per esempio il problema delle città metropolitane, ovvero gli enti che avrebbero ereditato le Province di una decina di città capoluogo come Roma, Napoli, Milano, Firenze, Bologna… Dove la situazione a quanto pare risulta ancora da definire: tanto che si è ragionato nelle stime come se lì non esistessero esuberi. Per non parlare della galassia delle partecipazioni azionarie provinciali, il cui destino appare piuttosto fumoso. Ma c’è anche il problema delle Province delle cinque regioni a statuto speciale, per cui la riforma Delrio non ha valore. E lì il percorso si presenta pieno di incognite.