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 2015  gennaio 20 Martedì calendario

«Renzi è un baro. Del resto lo è per cultura politica». Così i 5 stelle dicono di no alla Serracchiani sulla possibilità di un nome condiviso per il Colle. «Non c’è nessun tavolo con il Pd e non accetteremo un candidato che arriva dal patto del Nazareno». E poi: «Cosa ci danno loro in cambio del sì al premio di lista?»

«Renzi è un baro. Del resto lo è per cultura politica». Va giù con l’accetta il deputato a 5 Stelle e membro del «direttorio» Roberto Fico, quando gli si chiede un giudizio sul Quirinale. Posizione condivisa da molti, visto che le profferte reali o potenziali del Pd – dalla lettera di Debora Serracchiani, che li invita a votare a favore del premio alla lista, alla possibilità di un nome condiviso per il Colle – vengono respinte al mittente. Ma Fico è anche presidente della Commissione di Vigilanza Rai e in questa veste si presenta alla stampa per presentare «Open tg», sito che si propone il compito di «rendere chiari e accessibili» i dati Agcom sulla par condicio. Dati «molto tristi», che dimostrano come né la tv pubblica né quella privata «rispettano il pluralismo dell’informazione».
Giornata ancora all’insegna dell’attendismo, quella dei 5 Stelle. C’era da rispondere al Pd sulla richiesta di collaborazione all’Italicum, ma non è arrivata nessuna missiva ufficiale, se non un post di Grillo che definisce «marcio» il Pd. I cinque membri del direttorio – che oggi saranno a Bruxelles per incontrare la delegazione europea – ieri hanno fatto il punto con Grillo e Casaleggio nel primo pomeriggio. La linea è quella di dire no, ma non ufficialmente, per lasciarsi uno spiraglio nel caso in cui lo scenario politico cambi all’improvviso. Secondo Fico, «la lettera della Serracchiani lascia il tempo che trova, non rientra tra le nostre priorità e serve a depistare rispetto ai problemi del Pd: dai 30 senatori che non vogliono le liste bloccate al caso Cofferati. Noi poi siamo per le preferenze al 100 per cento». Quanto al Quirinale, Fico non si sbilancia sulle Quirinarie («vedremo, siamo lavorando») ma è chiaro sulla direzione: «È una partita a poker, non è una cosa seria. Non c’è nessun tavolo con il Pd e non accetteremo un candidato che arriva dal patto del Nazareno».
Un membro del direttorio è ancora più chiaro: «Diremo di no alla lettera della Serracchiani perché non c’è lo scambio. Cosa ci danno loro in cambio del sì al premio di lista?». «Sono ridicoli quelli del Pd – chiosa la senatrice Paola Taverna, con la consueta franchezza – è da settimane che aspettiamo risposte». Anche Andrea Cecconi è sul no netto: «Il Pd con quella lettera parla a nuora perché suocera intenda». Dove la suocera sarebbe Forza Italia: nel senso che l’offerta non sarebbe altro che un modo per minacciare Forza Italia di ricorrere a un altro forno, in caso di defezioni del partito di Berlusconi.
Chi invece sta riflettendo su come comportarsi sull’Italicum è il gruppo dei fuoriusciti a 5 Stelle. Ieri cinque senatori erano alla conferenza dove Miguel Gotor presentava l’emendamento della minoranza. E oggi una decina di ex 5 Stelle potrebbe firmare un documento di appoggio su questa scia.
Fico intanto si concentra sulla denuncia degli squilibri nell’informazione. Il senso di «open tg» è rendere accessibili e trasparenti i dati ufficiali dell’Agcom. Una sorta di guida semplificata. «Non ci sono interpretazioni», dice Fico, anche se gli estensori del sito sono parte in causa nella vicenda. Il presidente della Vigilanza, fa le pagelle dei tg: «Tutti danno un ruolo eccessivo al Pd che, sommato al governo, ha uno spazio enorme. E quasi sempre il secondo partito rappresentato non siamo noi ma Forza Italia. Queste tre forze sono considerate analoghe dall’Agcom ma hanno proporzioni ben diverse». Bocciati da Fico sia i tg di Berlusconi, che danno ampio spazio a Forza Italia (ma non è una gran sorpresa) sia Sky Tg24, «totalmente appiattito su maggioranza e Pd». La7, tra le private, è quella che ha «un equilibrio maggiore». Con il servizio pubblico, «la situazione migliora». Ma «non abbastanza». Rainews finisce all’indice e così il Tg1, «equilibrato solo in alcuni periodi» e il Tg3, «che premia soprattutto il Pd».