La Stampa, 19 gennaio 2015
Gli Stati Uniti vanno in trasferta a Cuba. In 25 hanno organizzato un Triathlon per tuffarsi dall’Avenida Primera e correre oltre la Plaza de la Revolucion. Per la prima volta, compilando un semplice questionario on line, cittadini americani si possono muovere liberamente all’Avana. Una via che si apre
C’è un uomo di 70 anni che fa triathlon da competizione e gira il mondo spinto dalla curiosità solo che stavolta non sa cosa immaginarsi. Jim Donaldson viene da Sylvania, Ohio, e sta per partire per L’Avana, Cuba: una destinazione che non è mai potuta entrare tra i suoi programmi. Un posto che, almeno per lui, neanche esisteva: «Non so cosa aspettarmi, quello che è certo è che questa volta per tutto il gruppo non conta la classifica, ma la strada».
Data storica
Il 24 gennaio si nuota, si fatica in bicicletta e si corre nell’isola che solo da tre giorni gli americani possono raggiungere senza permessi speciali. Non è esattamente la prima volta che gli Stati Uniti vanno in trasferta a Cuba, ma è la prima occasione in cui si possono muovere liberamente, possono spendere dei soldi in loco, non hanno bisogno di plurimi visti controfirmati da ogni autorità, di accompagnatori e neppure di un motivo particolare per stare lì. Il gruppo di 25 persone, 4 professionisti e tanti amatori, si è iscritto alla tappa del circuito internazionale appena ha capito che per osare bastava compilare un questionario on line e dichiarare semplicemente il desiderio di tuffarsi dall’Avenida Primera, di correre oltre la Plaza de la Revolucion. All’improvviso un viaggio che fino oggi necessitava di mesi di diplomazia è diventato accessibile grazie a un banale modulo. La registrazione a un triathlon, la prova concreta che qualcosa è cambiato.
I confronti del passato
I precedenti hanno una foto storica a ricordarli e trattative infinite a precederli. Si parte dai Giochi Panamericani del 1991, ospitati all’Avana e non boicottati dagli Usa. Meglio andare in casa di quello che allora era considerato a tutti i livelli un nemico e batterlo sul campo piuttosto che non presentarsi al confronto. Solo che il medagliere va agli organizzatori: 140 ori contro i 130 a stelle e strisce e il risultato si trasforma in propaganda. L’ennesimo abuso dello sport. Nel 1998 si passa a una prova più soft, una regata, pochi riflettori e una spazio quasi neutro, il mare. Si stendono le regole e quelle per gli americani diventano fisse per ogni edizione: si può attraccare ma non allontanarsi dalla barca e non si può consumare nulla, vietato pagare anche una bottiglia d’acqua. Per non alimentare l’economia cubana, l’obbligo è partire con le stive piene. Seguono momenti solenni come la partita di baseball del 1999 tra la nazionale cubana e i Baltimore Orioles, una sorta di riconciliazione anticipata. Prima della diplomazia c’è stato il diamante dell’Avana con un match amichevole eppure più importante di tante altre sfide. Dopo le decine di campioni che hanno lasciato la patria per diventare professionisti sulla sponda opposta qualcuno fa il tragitto al contrario. È solo un’ospitata però conta. A fare un passo oltre ci pensa l’anarchica Diana Nyard, impegnata nell’impossibile: nuotare da un mondo all’altro, da Cuba alla Florida tra gli squali. Missione riuscita, record omologato e la fase successiva deve per forza coinvolgere l’orgoglio del Paese: la boxe. Siamo all’anno scorso, con l’incontro di World Series, ancora salutato con la fanfara dell’eccezione. Pochi mesi dopo parte la distensione. Si apre la nuova frontiera dello sport americano e a sorpresa è Cuba.
Il via il 24 gennaio
Quando la federazione di triathlon ha aperto le iscrizioni è bastato un giorno per completare i posti a disposizione. In totale sono previsti 220 partecipanti e le strutture spedite lì saranno lasciate in loco. Un segnale, una via che si apre. I 25 pionieri hanno pagato un’iscrizione, il primo scambio di dollari tra persone dei due Stati non imparentate tra loro e ci pensa Jessica Rossing a dare la dimensione del gesto: «Inserire la carta di credito mi è sembrato un atto rivoluzionario». Lei è una dilettante di Duluth, Minnesota, fa il conto alla rovescia su twitter e prepara la valigia dei sogni, la chiama così perché non ha idea di che deve portarsi in una città che non ha mai neanche potuto prendere in considerazione: «I tempi di gara non mi interessano, voglio dare una sbirciata e voglio testimoniare che Cuba adesso è un nostro vicino, non una qualche landa proibita».