La Gazzetta dello Sport, 17 gennaio 2015
Siamo tutti felici della liberazione delle due ragazze, ma non si può ignorare una questione centrale, e cioè il pagamento del riscatto
                                            Siamo tutti felici della liberazione delle due ragazze, ma non si può ignorare una questione centrale, e cioè il pagamento del riscatto. Ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha quasi fatto spallucce di fronte alle accuse provenienti dal centrodestra (Lega in testa) e soprattutto da Internet, dove Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono state messe sulla graticola: «Un grande Paese — ha detto Gentiloni — si impegna a proteggere e a salvare la vita dei propri cittadini sequestrati, ma siamo contrari al pagamento di riscatti. L’Italia si attiene a comportamenti condivisi a livello internazionale, sulla linea dei governi precedenti: è la linea dell’Italia».
• Quindi il riscatto non è stato pagato. 
Così dice il governo. Le due ragazze, rapite in Siria in luglio da una  banda criminale, sono state poi cedute (per soldi) a quelli di al  Nusra, articolazione di al Qaeda nemica dell’Isis, anche se sono  fondamentalisti e jihadisti tutt’e due. Ora il trattamento che le due  organizzazioni riservano agli ostaggi è diametralmente opposto: l’Isis  li ammazza in modo spettacolare; al Nusra incassa   i riscatti. Tattiche  comprensibili: l’Isis ha un fatturato di molti milioni grazie al  contrabbando di petrolio. Al Nusra non ha entrate così cospicue e deve  raccattare denaro con azioni criminali, specialmente i sequestri. Alla  fine del 2013 ha rapito tredici monache, rilasciate dopo tre mesi in  cambio di soldi. Idem con lo scrittore americano Peter Theo Curtis,  ostaggio in Siria da due anni: al Nusra, grazie a lui, s’è messa in  tasca 25 milioni. Il giorno dopo la liberazione di Curtis, nel Golan  sono stati catturati 45 peacekeepers , liberati poi anche loro dietro  compenso. Eccetera. E le nostre due sarebbero tornate a casa per un  improvviso sussulto di bontà di quei satanassi? Ma allora, perché  saremmo stati cinque mesi e mezzo a trattare?  
 
• Però che altro si sarebbe dovuto fare?   
L’industria dei sequestri in Italia è stata sconfitta dalla linea dura:  alle famiglie a cui è rapito un parente, si bloccano per legge i  patrimoni, impedendo materialmente qualunque pagamento. Come mai teniamo  un atteggiamento diverso quando il sequestro è avvenuto all’estero? È  possibile che l’Italia abbia pagato, ma  non lo può ammettere. Il che  significa che ci saranno altri sequestrati italiani, e non è detto che  andrà sempre bene.  
 
• Però per tanto tempo non c’erano più stati episodi del genere. 
Perché quando la giornalista Giuliana Sgrena fu sequestrata in Iraq,  gli americani, per farci capire che dovevamo smetterla, andarono a  spararle, ammazzando  il povero Nicola Calipari che nella macchina s’era  seduto dietro per consolarla. Non è che noi smettemmo di pagare i  riscatti, sono gli islamisti che hanno smesso di sequestrare, sapendo  che gli americani ci avrebbero impedito di pagare. 
 
• La rete ha messo sotto accusa le due ragazze, sostenendo che «se la sono andata a cercare». È vero? 
Ai pm della Procura di Roma, ieri Vanessa e Greta hanno detto di aver  trascorso cinque mesi difficili,  passando fra prigioni e carcerieri  diversi, sempre in Siria, ma senza subire particolari abusi o violenze.  Anche su questo il ministro Gentiloni è voluto intervenire. «Considero  inaccettabile che qualcuno abbia detto che Vanessa e Greta se la siano  cercata. L’Italia ha bisogno di questi cooperanti e di questi  volontari».  Il Guardian  ha parlato di «riscatto ingente» e la  televisione satellitare araba Al Aan  sostiene che la somma sborsata  sarebbe di 12 milioni. Chiariamo subito che sarebbero soldi prelevati  dalla fiscalità generale, cioè nostri.  La ong con la quale le due sono  partite si chiama Progetto Horryaty .  
 
• E quindi? 
Questa  organizzazione non risulta nell’elenco delle duecento e passa  associazioni non governative che svolgono questo tipo di attività. Come  ha riferito in tempi non sospetti il vicepresidente del Copasir,  Giuseppe Esposito, Hornytay ha messo in piedi questa spedizione, che si  proponeva di distribuire medicine e aiuti ai rifugiati nei campi  profughi, con un dilettantismo pazzesco: «La loro presenza non era  tracciata in Siria. Nessuna ong sapeva della loro presenza là. E la  Farnesina, e di conseguenza il Copasir, ha sperato nella prima settimana  che potessero comparire da qualche parte lungo la frontiera turca.  Purtroppo non è stato così. Quando si decide di partire per missioni  umanitarie è necessario, indispensabile, muoversi nell’ambito di reti in  grado di dare il necessario supporto organizzativo e di copertura […]  Quelle ragazze non erano in cerca di selfie, come ha sostenuto qualcuno.  Volevano veramente dare aiuto a popolazioni che soffrono. Il loro unico  errore è che si sono volute improvvisare operatrici umanitarie. Un  errore grave, ma un errore, non una colpa».