16 gennaio 2015
Il borsino aggiornato del toto-Quirinale: in salita Mattarella e Amato, stabili Prodi e Veltroni, in discesa Finocchiaro, rispunta Grasso. I veti di Grillo e di Berlusconi, la rosa di Renzi e quella di Bersani. Ecco tutti i nomi del grande gioco del Colle
Il meglio dai giornali di oggi sulle previsioni per l’elezione del successore di Napolitano: i nomi in ascesa e quelli in caduta, le trattative di Renzi e i veti di Grillo e Berlusconi.
Il cosiddetto «toto Quirinale» è sempre esistito. È un rito quasi inevitabile quando si cambia capo dello Stato. Ed ha contorni ambigui: un po’ promozione, o autopromozione, e un po’ tritacarne. Ma stavolta l’ultimo aspetto rischia di diventare preponderante. Più che ad una gara di previsioni divertente e un po’ spregiudicata, stiamo assistendo ad uno stillicidio di candidature. E non sempre risulta chiaro se nascano da aspirazioni personali a succedere a Giorgio Napolitano, o da indiscrezioni pilotate dall’alto: magari solo per misurare le reazioni, «consumare» alcuni nomi in anticipo, e insieme confondere le acque sulle vere intenzioni di chi ha il potere di decidere [Massimo Franco, Cds].
Secondo Bei e De Marchis di Repubblica la lista dei candidati di Matteo Renzi è divisa in blocchi. E il punto di partenza sono gli ex leader del centrosinistra. In quel blocco ci sono Romano Prodi, Piero Fassino, Dario Franceschini, Walter Veltroni, Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani.
Ma lo schema renziano potrebbe ripetere quello che portò Napolitano al Colle nel 2006: un politico puro ma pescato tra i dirigenti mai arrivati al vertice del loro partito o scelto tra le riserve della Repubblica. È un profilo che oggi ricalca molto quello di Sergio Mattarella. Ai suoi il premier non dice che sarà lui il prescelto ma ammette che l’ex ministro, oggi giudice costituzionale, «ha tutte le qualità necessarie». È stato alla Difesa durante le guerre balcaniche. È stato vicepresidente Consiglio nel governo D’Alema, con cui ha ottimi rapporti. Ma più di tutto conta il precedente di due anni fa: era il primo nome della rosa che Bersani presentò a Berlusconi (gli altri due erano Marini e Amato). Ovvero era il candidato ufficiale della «Ditta» [Francesco Bei e Goffredo De Marchis, Rep].
Il nome di Sergio Mattarella, ex demitiano della sinistra dc, giudice costituzionale e fratello di Piersanti, presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nel 1980, rimbalza con insistenza da due giorni e sono in tanti ad assicurare che il primo vero dossier istruito da Renzi riguardi lui. A curarlo il sottosegretario Graziano Delrio. Per i democristiani del Pd, Mattarella è diventata una speranza concreta dall’altra sera, quando a cena si sono ritrovati i deputati di Beppe Fioroni e il vicesegretario dem Lorenzo Guerini [Fabrizio d’Esposito, Fat].
Ieri, dal Partito democratico, è stato lanciato il nome di Luciano Violante. Ma parrebbe proprio un nome dello schermo, scrive Maria Teresa Meli sul Cds.
Sempre ieri è uscito nuovamente il nome della vice presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia: è una donna ed è stata nominata alla Consulta da Giorgio Napolitano [Maria Teresa Meli, Cds].
Roberto Speranza poi si è recato da Raffaele Fitto per sponsorizzare Walter Veltroni. Da parte sua, Mario Monti fa sapere che non parteciperà «ad alcuna riunione sul nome», sperando che qualcuno si ricordi persino del suo. «Non mi interesso al fantacalcio», fa sapere invece Matteo Salvini [Roberto Scafuri, Grn].
Ogni giorno da palazzo Chigi, ora che il Quirinale è senza inquilino, esce un ambo sulla ruota del Colle. Mercoledì erano stati i nomi di Giuliano Amato e Sergio Mattarella, ieri sono usciti Piero Fassino e Anna Finocchiaro. E sempre con una postilla significativa: «Piacciono anche a Berlusconi e ad Alfano». Il più delle volte si tratta di tattica, un modo per sondare gli umori. Ma per il dottor Sottile, scrive Alberto Gentili sul Messaggero, c’è qualcosa di più. L’altro ieri Pier Luigi Bersani, leader di circa un centinaio di grandi elettori del Pd, ha confidato a più di un parlamentare: «Se fosse per me voterei Amato, ha grande esperienza, autorevolezza e con il tempo non ha più addosso il marchio di berlusconiano».
Secondo Fabrizio d’Esposito del Fatto, quando ieri a Montecitorio si è propagata alla velocità della luce la notizia che Giorgio Napolitano era già al lavoro nel suo studio di senatore a vita a Palazzo Giustiniani (contrariamente alle previsioni che riferivano di qualche giorno di riposo dopo le dimissioni di mercoledì), il riflesso malizioso di molti è stato questo: «A Palazzo Giustiniani è stato inaugurato il comitato elettorale di Giuliano Amato» Non è mistero per nessuno che l’ex Re Giorgio consideri “Giuliano” come il suo erede naturale, al punto che l’eventuale successo di questa operazione avrebbe come titolo questo: «Ecco il Napolitano ter».
Intanto Renzi prosegue con i suoi sondaggi. Con gli alleati del Nuovo centrodestra e di Scelta civica ha adombrato l’ipotesi Veltroni. Perché, come ha avuto modo di dire, «un arbitro e un garante delle riforme non deve essere necessariamente un non politico».
Ma Renzi si lascia aperta anche un’altra strada, ossia quella di riuscire a farcela alla prima votazione. In questo caso, scrive ancora la Meli sul Cds, un nome giusto può essere quello di Piero Grasso. Una prospettiva di questo tipo non vedrebbe contrario Bersani, visto che fu proprio lui a indicarlo come presidente del Senato e attrarrebbe i voti degli ex grillini. È vero che Berlusconi va dicendo che non vuole un magistrato. Ma i «no», quando si aprono le trattative non sono sempre così granitici. E poi, chi meglio di un ex magistrato potrebbe garantire al leader di FI agibilità politica senza destare scandalo?
«A me possono proporre tutto, possiamo discutere di chiunque, basta che non mi vengano a chiedere il voto per un ex segretario Pd o per chi è stato mio avversario diretto alle politiche». Silvio Berlusconi il suo identikit per il Quirinale inizia a delinearlo, pur al contrario, nella sequenza di incontri a Palazzo Grazioli. «I miei candidati ideali li avrei pure – raccontava nel pomeriggio a una deputata – e sono Letta, Antonio Martino e il generale Leonardo Gallitelli. Ma non sarò io a nominarli e bruciarli» [Carmelo Lopapa, Rep].
Da alcuni giorni diversi spezzoni del variegato fronte anti-Renzi-Berlusconi stanno ipotizzando di lanciare sin dalla prima votazione la candidatura del personaggio considerato più antagonista al patto del Nazareno: Romano Prodi. In altre parole, mentre i grandi elettori fedeli a Renzi e a Berlusconi nelle prime tre votazioni voterebbero scheda bianca, il fronte del No punta a far ottenere al Professore quei 200-250 voti capaci di far «massa critica», puntando a farlo crescere, per convincere i «padroni del vapore» a cambiar cavallo [Carlo Bertini e Fabio Martini, Sta].
Si chiede Stefano Folli su Rep: «Cosa accadrebbe se una parte dei seguaci di Grillo si unisse al Sel di Vendola e a un segmento almeno della minoranza democratica per votare il nome di Romano Prodi fin dalle prime votazioni, quelle in cui Renzi vuole tenere le carte coperte e giocare di rimessa con la scheda bianca? È un tema che appassiona tutti coloro che vedono in questo scenario il vero tallone d’Achille del premier. Se Prodi raccogliesse un numero crescente di voti già nei primi tre scrutini, potrebbe essere molto scomodo per Renzi bloccarlo alla quarta votazione in favore del vero candidato del «patto», magari un nome fin lì tenuto riservato per paura di bruciarlo».
In questa ottica potrebbe rivelarsi decisiva la candidatura di una personalità come il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, la carta coperta di Renzi, forse l’unico personaggio in grado di rappresentare un argine preventivo a Romano Prodi, il quale peraltro è del tutto estraneo alle manovre in corso. Eppure, il Professore che crescesse tra la prima e la terza votazione, «realisticamente rappresenterebbe un’operazione Rodotà al cubo», riconosce Antonio Misiani, già tesoriere del Pd, oggi della strategica area dei «giovani turchi» [Carlo Bertini e Fabio Martini, Sta].
Il Movimento 5 Stelle non ha ancora deciso se indire o no le Quirinarie come nel 2013. L’ipotesi più probabile è che si arrivi a una griglia di nomi, forse una decina, decisi dai vertici e votati dalla rete. Ma non è escluso che questa votazione avvenga a ridosso del voto se non a votazioni già iniziate [Francesco Maesano, Sta].
Intanto ieri Beppe Grillo in un post sul suo blog ha stilato una lista di nomi sui quali non ha intenzione di ragionare. Ci finiscono dentro Veltroni, Fassino, Amato, Grasso, Finocchiaro, Pinotti, Mattarella, Delrio. Persino Raffaele Fitto, che ha 45 anni e non è eleggibile, ma soprattutto Romano Prodi e Pietro Grasso [Francesco Maesano, Sta].