Corriere della Sera, 16 gennaio 2015
Il primo giorno di Napolitano a palazzo Giustiniani e l’opzione del rientro in Parlamento per l’elezione del successore
Come uno che sia uscito di «prigione» (e così considerava, con ironica esagerazione, il Quirinale) e che si senta libero da una scansione di orari fissi subita per anni, Giorgio Napolitano ieri se l’è presa comoda. Lui, sempre così preciso e puntuale, arriva nel suo nuovo ufficio da senatore a vita, al quarto piano di Palazzo Giustiniani, un po’ più tardi di quanto lo staff si aspettava. Alle 11 e un quarto. Accompagnato da Valeria Fedeli, supplente di Piero Grasso alla presidenza del Senato, fa un giro per le stanze, dov’era già venuto più volte nei mesi scorsi a consultare qualche libro e documento personale e per portare alcune gouaches ottocentesche e, soprattutto, la foto di Altiero Spinelli, con cui ha condiviso il sogno europeo.
Si guarda intorno, affacciandosi anche sulla terrazza dalla quale si domina la cupola di Sant’Ivo alla Sapienza. Infine si accomoda nello studio che occuperà d’ora in avanti.
«Vi saluto e vi ringrazio» dice ai cronisti che lo pedinano durante gli spostamenti da casa a qui. E, dopo aver indicato macchine fotografiche e telecamere, aggiunge: «Abituiamoci all’idea di vederci senza armi, cioè senza macchine fotografiche e telecamere». Poi, alla domanda se pensa di partecipare già dalla settimana prossima alle votazioni dell’Aula, replica sibillino: «Vedremo cosa si vota e se io sarò immediatamente in condizione di partecipare».
Tutto insomma dipenderà da come il presidente emerito metabolizzerà, proprio fisicamente, l’inevitabile calo di tensione del post Quirinale. Ma forse, decompressione a parte, potrà dipendere anche dalle fibrillazioni politiche che agiteranno Palazzo Madama, anche se nessuno naturalmente conferma quest’ipotesi. Se ad esempio la prova di forza sulla nuova legge elettorale, l’Italicum, scivolasse in una conta sul filo di lana, tale da rendere decisivi i suffragi dei senatori a vita, perché esporsi a quel che capitò a Carlo Azeglio Ciampi o a Rita Levi Montalcini?
Ricordate? Ciampi fu umiliato in una bagarre di strepiti e fischi della destra, che contestava il suo voto di fiducia al governo Prodi, il 19 maggio 2006. Un voto definito «profondamente immorale» da Silvio Berlusconi, quasi a suggerire una «sterilizzazione» delle prerogative di chi era stato onorato con il laticlavio a vita, con la pretesa di «non confonderlo con la politica».
Al premio Nobel Montalcini, accusata di aver pure lei offerto sostegno a Prodi, andò perfino peggio: la destra le inviò un paio di stampelle e i giovani militanti di un sito web affiliato la manganellò addirittura con odiosi riferimenti razzisti. Una vergogna.
Ecco dunque che un minimo di prudenza potrebbe suggerire all’ex capo dello Stato di non lasciarsi insultare e delegittimare (oltre che intristire) al suo esordio davanti all’assemblea. Che potrebbe così slittare al momento dell’elezione, a Montecitorio, per il suo successore, sulla quale i cronisti ovviamente lo incalzano ancora. Chi vorrebbe dopo di lei al Colle? Chi vedrebbe bene? «Vi piacerebbe saperlo, eh? Non lo so neanch’io».
Se la cava in questo modo, scherzando, Napolitano. Si chiude nello studio con i tre membri dello staff del Quirinale che continueranno a lavorare per lui: lo storico collaboratore Giovanni Matteoli, la segretaria particolare Viviane Schmit e l’archivista e documentarista Giancarlo Bartoloni. A loro si aggiungerà, di supporto e quando servirà, l’ex consigliere Carlo Guelfi, ritiratosi dopo la stagione sul Colle.
Una piccola squadra che ieri lo ha aiutato a sbrigare la corrispondenza degli ultimi giorni. Condividendo con il neosenatore a vita (che loro continuano a chiamare presidente, beninteso) una colazione piuttosto frugale: un paio di tramezzini, una spremuta d’arancio, un caffè. È l’unica pausa di una giornata intervallata anche da alcuni incontri. Bussa alla porta Mario Monti, l’ex presidente del Consiglio cui Napolitano affidò un governo tecnico d’emergenza per sottrarre il Paese alla bufera finanziaria dell’estate 2011. E, dopo di lui, l’ex presidente della Camera e parlamentare di lungo corso, Pierferdinando Casini. Alle tre del pomeriggio, dopo questo primo approccio per «fare l’indispensabile», il ritorno a casa.