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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

L’operazione sventata in Belgio coinvolge sette Paesi europei e lo Yemen. E l’Italia è stata utilizzata come una sorta di «hub» per raggiungere la Siria, o ritornare in Europa, da diversi «foreign fighters» partiti da altri paesi del vecchio continente

La notizia è confermata: anche in Italia un piccolo gruppo di combattenti islamici è già rientrata dal Califfato. Non sono sfuggiti all’attenzione dei nostri organi di sicurezza, ma per il momento non hanno dato adito a sospetti sul loro comportamento. In attesa di nuove leggi che colpiscano lo status di «foreign fighters» in quanto tali, ampiamente annunciate dal ministro Angelino Alfano, ma anche da quasi tutti i governi europei, la polizia e la magistratura più di tanto non possono fare.
Le reti europee
Erano rientrati dal Califfato anche i tre islamici – due morti, uno ferito – che la polizia belga aveva intercettato ieri. Quella operazione coinvolge sette Paesi europei e lo Yemen. È una delle tante operazioni anti-terrorismo che attraversa la Vecchia Europa. E non meraviglia. L’Italia, per esempio, è stata utilizzata come una sorta di «hub» per raggiungere la Siria, o ritornare in Europa, da diversi «foreign fighters» partiti da altri paesi europei. La circostanza è stata accertata dagli uomini dell’antiterrorismo e dell’intelligence. Al momento, però, le indagini non confermano la presenza di strutture stabili nel nostro paese che abbiano come obiettivo l’instradamento degli estremisti verso la Siria o l’Iraq.
La lista
Dei «foreign fighters» italiani, o per meglio dire di guerriglieri islamici che sono passati per il suolo italico, si sa molto. Il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti è stato ampiamente informato sul numero (c’è una lista di 53 nomi), sulle storie, sugli sviluppi. Dei 53, solo 4 sono italiani convertiti e gli altri sono tutti immigrati di prima e seconda generazione. Molti sarebbero già morti: è la sorte toccata al genovese Fabrizio Delnevo, convertito all’Islam, ucciso in combattimento in Siria qualche mese fa. E suo padre Carlo, proseguendo una polemica con Renzi, che due giorni fa aveva definito «una follia» considerare Fabrizio Delnevo un eroe, insiste: «Mio figlio, seguendo i suoi ideali è andato a morire eroicamente nel tentativo di salvare un compagno. Vorrei che tanti giovani italiani avessero la sua stessa idealità, il suo stesso coraggio».
L’allarme
Mentre cresce l’allarme in tutta Europa per la possibile reazione delle cellule dormienti di islamisti – e certo i fatti del Belgio non rendono tranquille le nostre autorità – monta anche la propaganda. Un tal Shabazz Suleman, 19enne jihadista britannico che si è trasferito in Siria, ha dichiarato al «Times» che «ci sono molti fratelli che aspettano solo l’ordine di fare attacchi contro l’Occidente». E secondo un’inchiesta del settimanale «L’Espresso», sarebbero 800 gli islamici monitorati in Italia perché sospettati di simpatie per la Guerra Santa, e quindi potenzialmente pericolosi.
Roma preoccupata
A Roma il procuratore capo Giuseppe Pignatone con l’aggiunto Giancarlo Capaldo e i pubblici ministeri componenti del pool antiterrorismo ha tenuto ieri una lunga riunione. Con l’occasione, i magistrati romani si sono confrontati sull’ipotesi di creare una superprocura nazionale antiterrorismo estendendo le competenze dell’attuale superprocura antimafia.
Roma si sente particolarmente esposta. Il prefetto Giuseppe Pecoraro ha rivelato di avere chiesto al ministero un consistente rinforzo: almeno 500 uomini in più. Il Vaticano resta in cima alle preoccupazioni. È stata rafforzata anche la scorta al cardinale Bagnasco.
Circola poi sul web l’ennesima minaccia: un fotomontaggio con il Colosseo sormontato dalla bandiera nera del Califfato. Non è stato archiviato come una bravata qualsiasi. Soprattutto per via della didascalia: «Domani il Corano a Roma come a Parigi». L’avrebbe postato un militante qualsiasi. Ma la tensione cresce.