Il Messaggero, 15 gennaio 2015
È stato individuato il quarto uomo che avrebbe aiutato i fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly a fare strage a Parigi. Questo l’identikit: guida la moto, è di tipo europeo, è ben noto alla polizia, ha precedenti per furti e rapine ma non per terrorismo, viene dalla Seine Saint-Denis, il dipartimento della più grossa e irrequieta banlieue di Parigi
Il «quarto uomo» guida la moto, è di tipo europeo, è ben noto alla polizia, ha precedenti per furti e rapine ma non per terrorismo, viene dalla Seine Saint-Denis, il dipartimento della più grossa e irrequieta banlieue di Parigi. Sarebbe stato lui ad aiutare sul terreno i fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly a fare strage a Parigi. Ed è lui che cercano gli agenti francesi, perché sa tutto, e perché, come ha detto anche il premier Valls, «è pericoloso», rappresenta «una minaccia reale». Gli inquirenti sono sulle sue tracce, sanno chi è, hanno già perquisito le case dove ha abitato, ma finora niente. Potrebbe essere già lontano, forse in Siria, dove si trovano con ogni probabilità altri membri del commando: Hayat Boumeddiene, compagna (anzi religiosamente moglie) di Coulibaly, e i fratelli Mehdi e Mohamed Belhoucine, altri volti noti agli agenti dell’antiterrorismo.
LE CHIAVI NEL COVO
È dentro l’ultimo nascondiglio di Coulibaly a Gentilly, periferia sud di Parigi, dove il killer del supermercato ebraico ha girato gran parte del suo video di rivendicazione, che la polizia francese ha trovato la traccia decisiva: un paio di chiavi di una moto. Quella del complice. Sarebbe stato lui ad accompagnare Coulibaly alla sua ultima missione, quella all’HyperKasher di Vincennes finita con la morte di quattro ostaggi. Sarebbe stato sempre lui, il complice, a sparare al 33enne che faceva jogging a Fontenay-les-Roses, poco lontano da casa di Coulibaly, la sera del 7 gennaio, qualche ora dopo la strage alla redazione di Charlie Hebdo. L’uomo ferito ha visto e descritto il suo aggressore: un uomo alto, col cappuccio della felpa alzato, di tipo europeo. Un bianco.
I bossoli ritrovati sul posto dell’aggressione sono però gli stessi della pistola automatica Tokarev calibro 7,62 ritrovata dalla polizia dentro al supermercato ebraico, dopo il blitz costato la vita a Coulibaly. Altro giallo: quello della Mini Cooper intestata a Hayat Boumeddiene, ma guidata da Coulibaly. Non è mai stata ritrovata. È servita per accompagnare il terrorista a Vincenne? È adesso in mano al complice? E ancora: è lui l’autista che avrebbe accompagnato o consentito la fuga dei fratelli Kouachi, autori della fucilata a Charlie? La presenza di un terzo uomo fuori dalla redazione del settimanale mentre dentro si attaccava non è ancora certa ma sembra sempre più probabile. Due testimoni lo avrebbero visto e una conferma sarebbe venuta dalle perquisizioni svolte nella Citroen che i Kouachi hanno abbandonato durante la fuga.
IL PIANO
Quello che pare ormai certo è che la preparazione degli attentati abbia richiesto qualche anno, almeno quattro. Le armi sarebbero state acquistate in Belgio: Coulibaly avrebbe comprato il suo mitragliatore Scorpio e i kalashnikov dei fratelli Kouachi da un intermediario che due giorni fa si è presentato spontaneamente alla polizia belga. Il materiale necessario agli attentati sarebbe stato finanziato da Aqap (Al Qaida della penisola arabica) che avrebbe consegnato a Cherif Kouachi 20mila dollari cash nel 2011, come riferito alla Cnn da funzionari dell’amministrazione americana. Il «contratto» sarebbe stato concluso nello Yemen dove il più giovane dei Kouachi trascorse un periodo di indottrinamento e addestramento.
I FONDI DI AMEDY
Coulibaly aveva anche fondi propri. Il 4 dicembre scorso aveva sottoscritto con la sua banca un prestito di 6mila euro, un mutuo generalmente concesso per fare dei lavori di piccola ristrutturazione. Coulibaly aveva fornito tutti i documenti necessari, anche le ultime buste paga (probabilmente false) e il suo 740. Nel 2013 aveva dichiarato un reddito di 33.714 euro. Ma le sue entrate dovevano essere ben superiori. In un video registrato nel 2008 mentre si trovava in carcere, aveva dichiarato di poter arrivare a «guadagnare» anche 40mila euro al giorno con i suoi traffici.
Francesca Pierantozzi