Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 14 Mercoledì calendario

Charlie riparte da Maometto. Senza terroristi in prima pagina. Il settimanale satirico raccontato da chi lo ha letto, da chi ne ha scritto, da chi è sopravvissuto e da chi è morto

• Oggi in tre milioni di copie è uscito Charlie Hebdo, numero 1.178. Resterà nelle edicole francesi e di altri 24 Paesi per otto settimane. Sarà tradotto in almeno cinque lingue, incluso l’arabo. A sostituire Charb c’è Gérard Biard, caporedattore  [Tutti i giornali 14/1].
 
• «Da una settimana, Charlie, giornale ateo, fa più miracoli di tutti i santi e i profeti messi insieme. Ciò di cui siamo più orgogliosi è che fra le mani avete il giornale che abbiamo sempre fatto, in compagnia di quelli che l’hanno sempre fatto. Ciò che ci ha fatto più ridere è che le campane di Notre-Dame hanno suonato in nostro onore... Da una settimana, Charlie solleva, da un capo all’altro del mondo, ben più che delle semplici montagne» (così recita l’Incipit dell’editoriale di Gérard Biard).
 
• Oggi la redazione del settimanale satirico è ospitata da Libération. All’ottavo piano, fuori dalla porta hanno scritto: «Aucun journaliste, merci» (nessun giornalista, grazie): «Vogliono restare soli. Troppa pressione, troppa attenzione, troppe coccole: non è nello spirito di Charlie» [Pierantozzi, Mes 14/1].
 
• «Polverizzata... Ecco com’è la redazione di Charlie Hebdo dopo l’odioso crimine. Decimati dai kalashnikov, sono tutti morti interi. Quanto a noi sopravvissuti, ancora per molto tempo dovremo raccogliere i frammenti per capire che cosa ne potremo fare. Frammenti di memoria, affinché ciascuno ricostituisca una scena che non ha visto, che non avrebbe mai voluto vedere, e affinché questa scena non esca più dalla nostra memoria individuale e collettiva. No, nessuno può, nessuno vuole dimenticare. Come rimuovere l’assenza? Come rimuovere, di nuovo, la spada di Damocle così a lungo sospesa sulle nostre teste, che si è abbattuta e incombe ancora su di noi? Sono morti, ma noi viviamo e ci metteremo molto, molto tempo a raccogliere i frammenti» (Zineb El Rhazoui). [Fat. 14/1]
 
• «Non ci sono terroristi in prima pagina, c’è solo un omino che piange, è Maometto». Luz spiega come ha realizzato la prima copertina dopo l’attentato: «Avevo questa idea in testa: je suis Charlie. Ma non bastava. Poi quest’altra: disegnare Maometto, come ho sempre fatto». Mette insieme le due idee e: «guardo Maometto, stava piangendo» (e qui ricacciare le lacrime indietro è davvero dura). Riprende: «Poi sopra ho scritto: tutto è perdonato. E ho pianto» [Pierantozzi, Mes 14/1].
 
• Anche per Michel Houellebecq è giusto ripartire da Maometto: «Sì, è la scelta giusta. Charlie Hebdo ha sotto la testata la scritta “giornale irresponsabile”. È questo il loro motto, ed è giusto che restino fedeli alla loro linea» [Montefiori, Cds]. 
 
• Subito dall’Egitto l’autorità egiziana che emette gli editti religiosi, le fatwa, la «Dar el Iftaa» del Cairo, ha definito la vignetta «una provocazione non giustificabile dei sentimenti di 1,5 miliardi di musulmani nel mondo». Per il predicatore integralista britannico Anjem Choudary è addirittura «un atto di guerra» [Tutti i giornali 14/1].
 
• «La politica di Charlie è non violenta e non carica di odio. È allegra. Vuole essere così. Nessun problema politico deve resistere a una buona risata. Ridete, amici, ridete» (Oncle Bernard).
 
• «Perché lo facciamo? Perché venerdì scorso, quando abbiamo chiamato il caporedattore superstite di Charlie Hebdo, ci siamo sentiti dire: “Grazie, siete l’unico giornale italiano che ce l’ha chiesto”. Perché quella risposta ci ha regalato una scossa d’orgoglio e qualche timore: come mai solo noi, visto che ci avranno pensato in tanti negli altri giornali? Perché ci siamo interrogati sull’opportunità di uscire in edicola con un gruppo di persone che, dopo aver assistito all’uccisione dei propri colleghi e amici, non avrebbero sicuramente concesso sconti a profeti e califfi vari. Perché alcuni hanno osservato che certe vignette offensive nei confronti dell’Islam, ma anche del Papa e di ogni religione praticata, noi non le avremmo pubblicate. (…) Perché, se non lo facciamo noi, non lo fa nessuno. Perché, quando il direttore ha espresso i suoi dubbi, tutti hanno detto: sei tu il direttore e tu hai l’ultima parola (begli amici). Perché, lunedì notte, quando abbiamo visto la copertina e il profeta Je suis Charlie con la lacrimuccia, sovrastato da un perfido e commovente Tout est pardonné, abbiamo pensato: che splendida idea. Perché siamo matti. Per questo oggi usciamo in edicola con Charlie Hebdo» (un estratto dell’editoriale di Padellaro).
 
• «Nessuno può essere ammazzato per un’idea. Ovvio schierarsi con la gente che sfilava a Parigi. Diciamocelo: le vignette incriminate facevano cagare. Ma non è questo il punto» (Stefano Disegni).
 
• «La questione sta altrove. È da più di dieci anni che siamo all’attacco del mondo islamico: Afghanistan (2001), Iraq (2003), Somalia (2006/7), Libia (2011) e, da ultimo, non contenti ci siamo intromessi, con bombardamenti e droni, nella battaglia che l’Isis sta legittimamente combattendo sulle sue terre. È da più di dieci anni che siamo in guerra, facendo centinaia di migliaia di vittime civili in campo altrui, ma siccome questa guerra non ci toccava, non colpiva i nostri territori, ce ne siamo fregati. Ora arriva l’inevitabile colpo di ritorno. Dovremmo riflettere sui nostri errori e sui nostri orrori perpetrati da anni. Altro che pubblicare un fac-simile di Charlie Hebdo» (Massimo Fini) [Fat 14/1/2013].
 
«Charlie mi sta sui coglioni e per questo mi è sempre piaciuto. Amo chi mi sta sui coglioni, amiamo chi ci sta sui coglioni. Adoro non pensarla allo stesso modo, ingaggiare contrasti che stimolano l’intelletto, che nutrono la ragione. Così dobbiamo agire, essere liberi significa essere tolleranti, non voler censurare. Mai» (Oliviero Toscani).
 
• Nel giornale c’è la vignetta di Luz, l’unica che rappresenta Maometto, e ci sono quelle postume sul Papa di Cabu e Honoré. «Non dobbiamo toccare quelli di Charlie Hebdo», dice un uomo nel disegno di Tignous, ucciso anche lui. «Sennò – prosegue un altro – passeranno per martiri e una volta in paradiso quegli stronzi ci ruberanno tutte le vergini». Altre vittime sono presenti nelle sedici pagine: c’è un articolo mai pubblicato dell’economista Bernard Maris [leggi qui] e un testo della psicoanalista Elsa Cayat sull’importanza di amare. L’uscita del numero speciale chiude in qualche modo il cerchio: era quello che avrebbero dovuto preparare i giornalisti riuniti mercoledì scorso in rue Nicolas-Appert [Ginori, Rep 14/1].
 
• «Nella sala riunioni ero solito sedermi vicino a Tignous, Honoré e Elsa. Sono quelli che conosco meglio e comunque non avrei lo spazio qui per parlare degli altri. Ma, prima di tutto, sappiate che non ero con loro mercoledì scorso, poiché ero ai funerali di mia zia Micheline. Aver salva la vita grazie a un funerale: Tignous si sarebbe piegato in due dalle risate» (Antonio Fischetti) [Fat 14/1].
 
• E poi, il paginone centrale è il solito reportage a fumetti, dedicato alla grande «manif» di domenica: «Più gente per Charlie che per la messa». Molti sarcasmi sulla jihad, dalla mamma che prepara la valigia al figlio terrorista e lo rimprovera perché ha preso il mitra («Non portarlo! Ti faranno pagare il bagaglio in eccesso») ai due miliziani di Boko Haram che «massacrano sedici villaggi in Nigeria»: «Duemila abbonati che Charlie non avrà» [Mattioli, Sta 14/1].
 
• «Le prime vittime del fascismo islamico sono i musulmani. I milioni di persone anonime, tutte le istituzioni, tutti i capi di Stato e di governo, tutte le personalità politiche, intellettuali e mediatiche, tutti i dignitari religiosi che questa settimana hanno proclamato: “Io sono Charlie”, devono sapere che ciò significa anche: “Io sono la laicità”. Siamo convinti che per la maggioranza di chi ci appoggia sia un fatto acquisito. E gli altri si arrangiassero. Un’ultima cosa, importante. Vorremmo inviare un messaggio a papa Francesco, che anche lui, questa settimana, “è Charlie”: accettiamo che le campane di Notre-Dame rintocchino in nostro onore solo quando sono le Femen a suonarle» (Dall’editoriale di Biard).
 
• Il solito «Charlie Hebdo», insomma. «Charlie è vivo» è la prima cosa che avevano detto i superstiti [Mattioli, Sta 14/1]..
 
• «È l’una di notte di martedì 13 gennaio. Ho appena ricevuto le pagine del numero di Charlie Hebdo che uscirà oggi insieme a Il Fatto Quotidiano. Scrivo subito, a caldo, perché sono felice. Sì, dopo tutti questi giorni incupiti e resi tetri dalla morte violenta e dai cantori di ogni fondamentalismo, sono felice. Ma non sorpreso. Lo sapevo. Ne ero certo che la Satira sarebbe andata in culo a chi si aspettava truci vendette a colpi di matita. A chi pensava e sperava di poterla arruolare per guerre di religione o peggio di “civiltà”» (Vauro sul Fatto).
 
• «Ringraziamo tutti i nuovi abbonati, e in particolare Arnold Schwarzenegger che ne vale dieci. Aspettiamo George Clooney, perché la redazione avrà così il suo indirizzo» (Gérard Biard). 
 
• Intanto ieri il «Canard Enchainé», popolare giornale satirico e d’inchiesta dove collaborava Cabu – vignettista ucciso dai terroristi – ha annunciato di aver ricevuto una mail l’8 gennaio, all’indomani della strage a Charlie Hebdo. «Tocca a voi» si legge nel messaggio, in cui si precisa che i giornalisti del «Canard» saranno ammazzati «con l’ascia». «Visto il contesto – scrive il giornale nel numero oggi in edicola – la sorveglianza è stata rafforzata»» [Pierantozzi, Mes 14/1]. Ci sono stati anche i funerali dei poliziotti francesi uccisi negli attentati. Alle undici del mattino c’è stata la consegna della Legion d’onore nei cortili della Prefettura di Parigi, con François Hollande, visibilmente commosso, che ha messo la bandiera francese e la medaglia con la massima onorificenza sulla bara di Merabet, di Franck Brinsolaro, l’altro poliziotto ucciso nell’attento del 7 gennaio, e di Clarissa Jean-Philippe, la giovane vigilessa colpita a tradimento da Amedy Coulibaly. «Sono morti perché noi potessimo continuare a vivere liberi» [Imarisio, Cds 14/1].
 
• Sempre ieri i fratelli Kouachi sono apparsi anche in un video inedito che li riprende in fuga dalla redazione del giornale satirico. «Abbiamo vendicato il profeta», urlano in mezzo alla strada sgombra mostrando le armi da guerra, ricaricate con estrema calma, a una pattuglia della polizia in avvicinamento che viene bersagliata di colpi e costretta alla fuga. Pochi secondi prima di uccidere l’agente Ahmed Morabet. 
 
• Intanto in Italia, la Procura Roma sta indagando su una ventina di persone che si muovono tra il nostro Paese e l’estero, con «basi» nella capitale, ma anche in Lombardia e Veneto. Dialogano via Internet, parlano di «onorare la jihad», dicono che «bisogna colpire presto». Sono sotto controllo da mesi, non sembrano avere capacità operative immediate. Però fanno paura perché quanto accaduto a Parigi potrebbe averli esaltati convincendoli ad emulare le stragi compiute nella capitale francese dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly. Mentri il numero dei combattenti europei si aggira «tra i 3mila e i 5mila combattenti europei andati in Medio Oriente per addestrarsi e partecipare alla guerra santa, che potrebbero tornare in patria proprio per compiere attentati» (il direttore di Europol Rob Wainwright al Parlamento britannico) [Sarzanini, Cds 14/1].