Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2015
L’Italia filantropa. Sempre più ricchi fanno donazioni anonime ma le cifre non superano quasi mai i 10mila euro
«Costruire la propria abbondanza ricavandola dall’impoverimento altrui non è lecito». Questo concetto, espresso nella Carta Caritatis di Bernardo da Chiaravalle, è del 1127, ma sembra essere valido ancora oggi. La consapevolezza di dover restituire alla società una parte della ricchezza accumulata è la motivazione più forte, in termini relativi, a indurre gli italiani con alto patrimonio a donare. È questo uno dei risultati più inattesi della ricerca La Filantropia degli High Net Worth Individuals in Italia, prima del genere in Italia realizzata dall’UNHCR (Agenzia Onu per i Rifugiati) in collaborazione con Kairos Julius Baer SIM, società di riferimento nel Private Banking e Wealth Management.
Basato su un questionario somministrato a 81 high net worth italiani – ovvero quelli il cui patrimonio netto eccede il milione di dollari, con esclusione del valore dell’immobile di residenza – lo studio rivela infatti che alla base della filantropia ci sia il desiderio di sentirsi utili e non motivazioni familiari e religiose. Soltanto il 10 per cento del campione non considera tra le proprie priorità il donare per uno scopo sociale. Un terzo definisce «molto importante» la possibilità di generare un impatto sociale positivo e il 16 per cento degli intervistati si spinge a definirlo «estremamente importante».
Inoltre, gli high net worth individuals donano per cause sociali in percentuale molto più elevata della media della popolazione italiana: l’81 per cento fra gli intervistati ha dichiarato di aver donato nell’ultimo anno, mentre se guardiamo all’intera popolazione la percentuale dei donatori si abbassa molto: soltanto il 28,2 per cento ha fatto una donazione negli ultimi dodici mesi (Fonte: DOXA, Italiani Solidali 2014). Tra i risultati più interessanti va rilevato che la percentuale delle donatrici è più elevata di quella dei donatori – il 90 per cento delle donne contro il 76% di uomini. Il che conferma a livello empirico quanto la letteratura economico-sperimentale sul gioco dell’ultimatum e sul gioco del dittatore da anni va dimostrando. Inoltre – e questo è il risultato certamente più intrigante – gli italiani non desiderano ricevere riconoscimenti pubblici, né desiderano svelare la loro identità rispetto alle donazioni effettuate. A differenza di quanto accade nel mondo anglosassone, l’agire donativo in Italia non è dunque associato all’acquisizione di beni posizionali da parte del donatore. Per gli high net worth individuals è decisiva la trasparenza: la capacità di documentare l’impatto sociale dei progetti e di dar conto dell’utilizzo dei fondi ricevuti è elemento di primaria importanza nel determinare la scelta dell’organizzazione da sostenere. Inoltre, i benefici fiscali riservati ai donatori svolgono un ruolo importante nel determinare il livello della donazione: oltre la metà del campione donerebbe di più se questi aumentassero. Vi è dunque un potenziale importante di risorse aggiuntive ancora non sfruttate dal no profit italiano: per questa ragione il tema dei benefici fiscali meriterebbe di ricevere più attenzione da parte delle organizzazioni. La ricerca evidenzia come siano ancora bassi i big gift, ovvero le grandi donazioni superiori a 10 mila euro l’anno: più di due terzi del campione dona meno di 10 mila euro l’anno, un dato significativamente più basso di quello relativo agli Stati Uniti un paese nel quale il 45 per cento degli High Net Worth dona fino a 100 mila dollari all’anno. In Italia, invece, nessuno degli intervistati dichiara di donare oltre 100 mila euro all’anno, e soltanto il 3 per cento dona tra 51 mila e 100 mila euro.
Ciò richiamato, che dire del futuro dell’attività filantropica degli high net worth individuals nel nostro paese? Senza dubbio, quando si parla di mancanza di risorse per azioni benefiche o per le emergenze umanitarie ci si sta riferendo a quelle di fonte pubblica, non a quelle private, che al contrario, sono ben presenti e in continuo aumento. Ad esempio, i governi hanno finora promesso all’UNHCR appena il 10 per cento dei fondi di cui l’Agenzia avrà bisogno nel 2015 per proteggere e assistere 46,3 milioni di persone in fuga da guerre e persecuzioni. Il punto è che si potrebbe maggiormente attingere alle risorse provenienti dal mondo dei privati, delle imprese for profit per assicurare la fornitura di aiuti umanitari o servizi di welfare.
D’altronde, come ha scritto Lord Beveridge nel suo L’azione volontaria (1942): «La formazione di una buona società dipende non dallo Stato, ma dai cittadini che agiscono individualmente in libere associazioni».