Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2015
A Caracas il cibo viene razionato e Moody’s taglia il rating. Voto? CAA3, dopo c’è solo il default
Con gli assalti a un camion carico di pannolini. È finita così l’ambiziosa Rivoluzione bolivariana che avrebbe dovuto liberare il Venezuela dalle catene del turbocapitalismo. E invece costringe la popolazione al razionamento di beni di prima necessità.
L’attuale presidente Nicolas Maduro vive giorni difficili, ieri ha incassato l’ennesimo downgrade di Moody’s che peraltro fa molta meno paura delle voci di un possibile colpo di Stato.
Si sgretola così il sogno dell’ex presidente Hugo Chavez, morto poco meno di due anni fa; pur tra mille contraddizioni e difficoltà aveva saputo fare proselitismo in altri Paesi latinoamericani e soprattutto rinegoziare alcuni contratti petroliferi con le multinazionali straniere. Last but not least, attuato un certo numero di progetti sociali nelle baraccopoli, scuole e presidi sanitari. Alcuni obiettivi raggiunti, altri mancati.
Una fotografia, realistica e implacabile, del Venezuela di questi giorni mostra un Paese in bilico tra depressione economica e default. Il rischio di un crac «è aumentato sostanzialmente» a causa della riduzione del prezzo internazionale del petrolio, sostiene l’agenzia di rating Moody’s in un report pubblicato ieri. La “pagella” dei titoli di Stato del Paese sudamericano registra una caduta da CAA1 a CAA3 con outlook stabile.
Il rating CAA3 è la penultima casella prima del vero e proprio default.
Moody’s sottolinea che se il Venezuela scivolasse in default «le perdite per i detentori dei suoi titoli sarebbero superiori al 50% dei suoi strumenti di debito sovrano», ed esistono poche possibilità di un’azione del governo che freni questo derapage, dato che il paese «si trova in mezzo a una recessione economica con un quadro politico fortemente discrezionale, che riflette debolezza istituzionale» da parte delle autorità dello Stato.
Lo scorso 18 dicembre era stata Fitch a tagliare il rating del Venezuela di due gradini, da B a CCC, segnalando una «reale possibilità» di default, in conseguenza della caduta dei prezzi petroliferi, che «erode la principale fonte di valuta per l’economia» di un Paese con poche riserve monetarie e bassa liquidità.
La caduta del prezzo del barile ha fatto precipitare la congiuntura del Venezuela e la depressione economica produce una palese instabilità sociale. Caracas dipende per il 96% del suo afflusso di valuta estera proprio dal petrolio. La produzione nazionale di beni si è progressivamente ridotta e sugli scaffali dei supermercati mancano latte, caffé, riso, carta igienica, zucchero e sapone.
Tra le catene di supermercati (in mano a gruppi stranieri) e il governo di Caracas la tensione è alle stelle:?le aziende parlano di illegittimi condizionamenti mentre gli uomini di Maduro le accusano di voler boicottare la distribuzione alimentare. In mezzo ci sono milioni di venezuelani che patiscono il razionamento di beni di prima necessità.
Le ultime speranze del Venezuela vengono riposte nella Cina, negli investimenti e nelle linee di credito che il numero uno di Pechino, Xi Jinping, pare conceda al governo sudamericano di Maduro.
Nei giorni scorsi si è parlato di investimenti cinesi, in arrivo a Caracas, per 17 miliardi di euro. Una somma ingente che verrà spesa in progetti energetici, industriali e di sviluppo sul territorio venezuelano. Una parte della somma, secondo alcune fonti, è una linea di credito mascherata.
Xi Jinping ha incontrato nella capitale cinese il presidente venezuelano Maduro e insieme hanno dichiarato di aver rafforzato la loro cooperazione, fin da ora.
La Cina è il principale investitore e il secondo cliente per il petrolio del Venezuela, con 640mila barili al giorno; la Cina ha accordato al Venezuela, dal 2007, prestiti a lungo termine per 42 miliardi di dollari.