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 2015  gennaio 14 Mercoledì calendario

Per Mubarak la libertà è sempre più vicina. Un altro processo annullato per irregolarità

Guidato dai sauditi con cauta fermezza, il 10 dicembre il vertice dei Paesi del GCC, il Consiglio di cooperazione del Golfo, disegna i connotati del nuovo ordine arabo. Un mese più tardi, ieri, i giudici del Cairo liberano Hosni Mubarak da ogni accusa: per quanto la sua prigionia fosse sempre stata piuttosto dorata, ora l’ex rais vede da vicino la libertà. Anche se apparentemente diversi, esiste un legame fra i due avvenimenti. La Corte di Cassazione egiziana ha stabilito che il processo per frode allo Stato, intentato contro Mubarak, era irregolare e dunque nullo: come quello per la morte di centinaia di manifestanti in piazza Tahrir, già decaduto a novembre. L’Arabia Saudita non aveva mai abbandonato Hosni Mubarak al suo destino: aveva continuato a difenderlo prima e dopo la sua caduta, fino a quando l’elezione presidenziale di Abdel Fattah al-Sisi, un anno fa, aveva portato al potere un altro Mubarak più giovane, più determinato e ugualmente legato all’Arabia Saudita. 
Mubarak non è più necessario: la visione strategica di al-Sisi sul Medio Oriente è esattamente la stessa di quella saudita. Della profonda ostilità di Riad verso le Primavere arabe – fino a qualche tempo fa isolata ma ormai condivisa dall’intera regione e sempre più anche in Occidente – l’ex generale al-Sisi è ora un efficace esecutore. La riabilitazione del vecchio raìs non era solo una questione affettiva. Aveva ancora una valenza politica: nel grande processo di restaurazione, un Termidoro arabo, non si poteva abbandonare Hosni Mubarak, un vecchio pilastro del sunnismo moderato. Era la richiesta di re Abdullah ad al-Sisi come prova di riconoscenza per il suo completo sostegno al nuovo Egitto.
Il trentacinquesimo vertice dei Paesi del GCC (sauditi, Emirati, Qatar, Bahrein, Kuwait e Oman. Futuri candidati Giordania e Marocco), a Doha il mese scorso, è stato un avvenimento politicamente rilevante per la regione. Dopo gli anni dell’autonomia creativa dell’emiro Hamad al-Thani, spinto dai sauditi ad abdicare nel giugno 2013, il Qatar del suo giovane erede Tamim, sta rientrando nei ranghi: ora i Fratelli musulmani che l’emirato aveva sostenuto, sono un problema per tutti. Nei confronti dell’Iran c’è un’apertura: il GCC è favorevole a un accordo sul nucleare fra Washington e Teheran, l’Oman potrà continuare ad essere l’intermediario arabo di quella trattativa. Ma il Golfo resterà vigile e armato: sarà presto costituito un comando militare congiunto fra i regni ed emirati sunniti del mare arabico.
È stato tuttavia l’Egitto il protagonista del vertice, diventato il pilastro essenziale del nuovo ordine arabo che con i loro soldi, l’autorevolezza politica e religiosa, stanno costruendo i sauditi. Il Qatar non sosterrà più i Fratelli musulmani e la stampa egiziana smetterà di attaccare il Qatar che presto riprenderà a investire in Egitto. Il pacchetto dovrebbe prevedere anche il progressivo distacco dagli islamisti libici che il Qatar sostiene insieme alla Turchia.
Dall’azione militare di al-Sisi contro la fratellanza, nell’estate 2013, Araba Saudita, Emirati e Kuwait hanno impedito il collasso dell’economia egiziana. Ma l’obiettivo è trasformare quell’aiuto straordinario ed emergenziale di una trentina di miliardi di dollari, in una specie di Piano Marshall regionale per far rinascere e prosperare quel Paese. I sauditi stanno sostenendo attivamente il vertice economico internazionale che Abdel Fattah al-Sisi vuole organizzare a Sharm el-Sheikh entro marzo. 
Nel nuovo ordine arabo sunnita molto simile al vecchio, precedente alle Primavere e all’emergere del radicalismo islamico, manca il leader politico e militare di peso. Per dimensioni, massa critica demografica, storia e cultura politica, l’Arabia Saudita non può esserlo: il suo ruolo è organizzativo ma dietro le quinte, morale-religioso, economico. L’unico Paese della regione che può esserlo è l’Egitto di al-Sisi la cui missione dichiarata è riprendere la guida del mondo arabo. Solo l’Egitto può ridare forza muscolare al sunnismo, può interloquire ad armi pari con l’Iran, è il Paese arabo che ha più cose da offrire a Israele. Sembra l’identikit politico dell’Egitto di Mubarak ma al-Sisi è di quasi trent’anni più giovane.