MilanoFinanza, 14 gennaio 2015
Un Qe senza veti e senza furbizie italiane
Si moltiplicano le previsioni sul tipo di quantitative easing che Mario Draghi proporrà al Consiglio direttivo della Bce il 22 gennaio. Da tempo abbiamo segnalato il rischio che l’inseguimento delle posizioni di Jens Weidmann, il capo della Bundesbank, per una mediazione a ogni costo, possa condurre a una delibera che, alla fine, può deludere tutti. La questione principale riguarda l’accollo del rischio per le eventuali perdite nell’acquisto di titoli pubblici: se, cioè, questo debba essere assunto dalla Bce, con la conseguenza della ripartizione delle conseguenze delle perdite su tutte le banche nazionali partecipanti all’Eurosistema in proporzione della loro partecipazione all’Istituto centrale, oppure debba far carico alle banche centrali nazionali, ciascuna limitatamente ai titoli pubblici del proprio paese.
Quest’ultima ipotesi era stata già adombrata nei mesi scorsi, ma sembrava definitivamente tramontata, considerati la debolezza del suo fondamento e il significato ultrattivo di una scelta del genere che verrebbe intesa come una netta distinzione della rischiosità delle operazioni in questione operata dalla Bce con il suo marchio. Insomma, una decisione che optasse per questa alternativa sacrificherebbe sull’altare della probabile adesione da parte di Weidmann a un quantitative easing così modellato l’auspicabile coesione dell’Eurozona, della quale verrebbe accentuata la frammentazione. A questo punto si aprirebbe la strada a scelte che in futuro potrebbero riguardare anche altre materie. Dovrebbe, allora, iniziare un nuovo modo, disarticolato, di funzionamento del Sistema e ciò proprio nel momento in cui faticosamente, e tra evidenti contraddizioni, si sta portando avanti il progetto di Unione bancaria che lo stesso Draghi vede come un passaggio verso l’Unione fiscale per poi arrivare alla piena integrazione politica. Altro che cambiamento di marcia, allora, come Matteo Renzi ieri, nel Parlamento di Strasburgo, ha insistentemente richiesto per l’Europa nel discorso conclusivo del semestre di presidenza italiana.
Una opzione del tipo indicato per l’acquisto dei titoli pubblici costituirebbe, insomma, un chiaro passo indietro, senza considerare, poi, i profili di legittimità che potrebbero essere sollevati per questa adombrata segmentazione, dal momento che, in specie per alcune banche centrali, l’accollo delle perdite relative ai titoli dei rispettivi Paesi significherebbe impegnare poi i relativi Stati a ricapitalizzare questi stessi istituti centrali: un circolo vizioso, una sorta di partita di giro, con danno per gli Stati.
Abbiamo in passato sottolineato che in una situazione quale quella che si è determinata sul Qe nel Direttivo della Bce l’unica strada da imboccare è quella del voto dei componenti: un’operazione, cioè, di estrema trasparenza e correttezza su di una proposta razionale di acquisto, anche perché l’adesione a quest’ultima dovrebbe risultare, come da sondaggi, largamente maggioritaria. Si avrebbero poi dei riflessi negativi in Germania, scegliendo l’alternativa della normalità? È possibile. Ma anche questa valutazione presuppone uno snaturamento dell’azione della Bce o un allargamento delle motivazioni da porre a base delle sue decisioni che confliggerebbe comunque con l’autonomia e indipendenza dell’Istituzione.
Certamente, non è da escludere che il Consiglio direttivo stabilisca alcune condizioni che debbono ricorrere per gli acquisti anzidetti, ma non del tipo che l’alternativa in questione prevedrebbe. Mentre ci avviciniamo alla data del 22 gennaio, è tuttavia ipotizzabile che altre proposte sulle modalità delle progettate operazioni emergeranno o verranno riportate dalle cronache. Concorre a ciò anche il lunghissimo tempo intercorso prima di incamminarsi decisamente per il Qe che, evidentemente, non è stato più possibile prorogare, vista l’entrata dell’area in deflazione, con la conseguenza che anche le espressioni dei comunicati della Bce, che si adoperano per non adottare l’espressione «deflazione», ora si dovrebbero adeguare. Ma, di fronte a queste vociferazioni, ai ballon d’essai, alle spinte che vengono da diverse parti, è importante che il vertice della Bce mantenga saldo il timone e eviti soluzioni pasticciate.
Così come da evitare sono anche proposte nostrane che vorrebbero destinare il Qe alla sistemazione dei crediti bancari deteriorati, accrescendo confusione e, magari, stimolando proposte di segno opposto.