Il Messaggero, 14 gennaio 2015
Il mercato dei bambini soldato passa spesso per la Turchia. Dicono ai genitori che i loro figli verranno affidati all’Onu e poi se li rivendono ai jihadisti. Oppure gli uomini del Califfo gli promettono un futuro, offrono loro l’istruzione ma poi anziché portarli sui banchi di scuola, gli insegnano a usare un kalashnikov
Accanto alla progressiva violazione delle più elementari leggi di guerra, si sta sempre più diffondendo una pratica inquietante. Molti minori sono gli esecutori di atrocità belliche. I conflitti che hanno sconvolto Sierra Leone, Liberia, Congo e Sudan ci hanno fatto conoscere la figura del bambino soldato. Un minore non più solo vittima, ma anche protagonista attivo del conflitto.
In Medio Oriente i volti più giovani visti al fronte erano stati fino ad ora quelli degli shabab palestinesi – i ragazzi che lanciano le pietre per partecipare all’Intifadah- o degli shahid che si immolano per farsi esplodere. Volgendo lo sguardo a quello che sta accadendo tra Siria e Iraq, ci si imbatte però in milizie di bambini molto più piccoli. Basta guardare i video di addestramento diffusi dalla macchina mediatica messa in piedi dall’autoproclamatosi “stato islamico” per capire che il reclutamento di minori è una pratica ormai rodata. Ma ad arruolare i bambini sono anche gli uomini dell’esercito siriano libero, conosciuti per le loro posizioni più moderate. Questa crescente domanda di reclute giovanissime ha fatto salire alle stelle il business del traffico di bambini soldato.
IL FENOMENO
Secondo Human Rights Watch lo scorso giugno, sarebbero quasi 200 i minori che hanno perso la vita impugnando un kalashnikov. Quasi sempre vengono ingaggiati con la scusa di essere istruiti. L’autoproclamatosi “stato islamico” fa leva proprio sulla mancanza di strutture educative per avvicinare i bambini. Inizia offrendo loro lezioni gratuite e poi invece di farli sedere su un banco li porta in campi di addestramento dove prendono confidenza con armi.
I genitori, disperati, si fanno spesso ingannare da quanti promettono di dare un futuro ai lori figli. Una signora di Homs fuggita in Egitto con tre figli al seguito si vergogna di raccontare la sua storia. Arrivata al Cairo per fuggire dalla guerra è stata ingannata da chi si è fatto avanti per provvedere alle cure del suo figlio minore. «Mi hanno proposto di pagargli il viaggio per farlo arrivare in Turchia dove i funzionari dell’Onu lo avrebbero curato. L’ho fatto partire, ma in Turchia ci è rimasto solo una settima. Giusto il tempo di rivenderlo come schiavo a un gruppo di jihadisti attivo in Siria» spiega la signora a Il Messaggero. «Poi ho ricevuto una foto di mio figlio con una cintura esplosiva attorno alla vita. Da quel giorno sono passati due anni e non ho più avuto sue notizie».