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 2015  gennaio 14 Mercoledì calendario

Anche il macaco si guarda allo specchio. Uno studio dell’Accademia Cinese delle Scienze rivela che l’autoriconoscimento è segno di una presa di coscienza di sé

Riconoscersi nell’immagine riflessa di uno specchio è qualcosa che noi umani, insieme con poche altre specie come le scimmie antropomorfe, facciamo spontaneamente. E anche se il nostro uso quotidiano è pragmatico, lo specchio è simbolicamente evocativo, dal laghetto del mito di Narciso agli specchi incantati della letteratura.
Risale al 1970 l’idea che l’autoriconoscimento sia indice di autocoscienza e, per quanto ancora non ci sia unanimità sul valore del test, gli scienziati continuano a servirsene per indagare le prestazioni di molte specie animali.
Assume, dunque, particolare significato la notizia che anche i macachi reso, finora risultati incapaci di superare il test, sarebbero in grado di farlo, se addestrati. Lo studio, pubblicato su «Current Biology», è stato condotto all’Accademia Cinese delle Scienze. Colpendo la fronte di alcune scimmie sedute davanti allo specchio con un raggio laser lievemente irritante, i ricercatori hanno visto che gli animali imparavano a toccare la luce colorata osservata sul proprio volto riflesso. Non solo. Alcuni di loro hanno spontaneamente usato lo specchio per ispezionare le zone del corpo non visibili altrimenti, come i genitali, esattamente come fanno i bambini e le antropomorfe.
«I reso reagiscono allo specchio con aggressività, perché interpretano uno sguardo fisso come una minaccia. Qui, però, non c’è traccia di queste reazioni e, anzi, mostrano una certa flessibilità e curiosità, entrambi indici di intelligenza», commenta Pier Francesco Ferrari, etologo dell’Università di Parma.
L’importanza dello studio starebbe nell’aver dimostrato il possesso dell’equipaggiamento neurale necessario al superamento del test. «Ciò non dovrebbe stupire. Eppure, a differenza di quanto accade con altri aspetti, genetici o anatomici, la continuità evolutiva delle capacità cognitive ci turba. La coscienza esiste in gradi diversi anche negli altri animali- spiega Ferrari -. Questi eccellono in molte capacità, anche se finora ci siamo accaniti nell’identificarne alcune da usare come Rubicone dell’umana superiorità: si pensi all’empatia o al linguaggio».
In generale – aggiunge – «dovremmo riadattare i paradigmi di ricerca al contesto ecologico e sociale delle specie», adottando una prospettiva diversa. «L’emergere di facoltà dal forte valore adattativo, come dev’essere stata per i nostri antenati la capacità di riflettere su di sé e pianificare il futuro, avviene in risposta a certe pressioni evolutive per cooptazione di aree cerebrali esistenti». Scoprire quali siano quelle dell’autoriconoscimento potrebbe aprire una nuova strada: per esempio investigazioni neurobiologiche per il trattamento di disturbi neurologici, come autismo, schizofrenia e Alzheimer.