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 2015  gennaio 14 Mercoledì calendario

Almodóvar ha il mal di schiena, il ronzio all’orecchio e ci vede male. Per questo è stato fermo un anno. Ma adesso prepara "Silencio", il suo ventesimo film

Pedro Almodóvar ha superato un brutto anno dal punto di vista della salute. Ha avuto un dolore costante alla schiena che lo ha costretto a interrompere il ritmo abituale delle sue riprese. Avrebbe dovuto girare un film nel 2014. E poi c’è il suo acufene (un incessante ronzio nelle orecchie) e problemi alla vista con la luce. Come regista, ha sempre controllato ogni dettaglio dei suoi film. Compresa l’approvazione del doppiaggio italiano o dei sottotitoli in inglese. Ora, questa energia è incanalata nella pre-produzione di Silencio, il suo ventesimo lungometraggio, mentre accompagna la première a Londra, del musical Donne sull’orlo di una crisi di nervi. «Ho voglia di girare, me ne accorgo dall’ansia», dice Almodóvar. Il regista è uscito a fare una passeggiata nella gelida mattinata londinese, dopo aver assistito alla prova generale con pubblico del musical ed è di buon umore. Ordina un tè e comincia a ricordare come era la sua vita nella Spagna alla fine degli anni Ottanta, ricordi a cui lo riporta questo adattamento teatrale di una delle commedie divenute ormai un classico di quel decennio. «È meraviglioso che sia diventato uno dei miei film più visti, ma è strano come le riprese non determinino il futuro di un’opera cinematografica. Furono delle riprese durissime, veramente drammatiche. E non si notò assolutamente. Ricordo con gioia il risultato ottenuto. Un classico? Oggi, se un film sopravvive più di un decennio, lo si può definire un classico. Il tempo devasta tutto: il cinema, la memoria, i corpi...». Erano altri tempi, quando si girava a novembre e si usciva il 23 marzo. Almodóvar affrontava allora il suo settimo film. Il regista e Carmen Maura erano inseparabili. Almodóvar ricorda: «In Spagna vivevamo un momento meraviglioso, un’esplosione di libertà. A Madrid tutto era perfetto, salvo una cosa: un uomo che lasciava una donna». Il film partecipò alla Mostra di Venezia – la sua proiezione fu interrotta dieci volte dagli applausi – lo stesso giorno in cui fu proiettato L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese. «Ci fu una conferenza stampa delirante, dopo la sua. Ero condannato a passare inosservato. Ci arrivai stanco, venivo dal festival americano di Telluride. In questi casi, o crollo o deliro. Seguii la seconda via. I giornalisti italiani apprezzarono i miei spropositi». Più di 25 anni dopo, entrambi i registi girano un film dallo stesso titolo: Silenzio. «Nel mio caso, si chiama così perché questo è l’elemento che guida le peggiori cose che accadono alle protagoniste». Sarà un ritorno al «cinema di donne». Ogni giorno lo interrogano «ripetutamente» sul suo talento nel costruire personaggi femminili. «Ho diverse risposte pronte e ne scelgo una a seconda del momento, ma ne approfitto sempre per rendere omaggio alle mie ispiratrici: mia madre e le sue vicine di casa, quella generazione di donne che salvò la Spagna della guerra. Sono cresciuto circondato da donne forti, donne della regione della Mancha, che parlavano di tutto nel cortile o per strada. Loro e Blanca Sánchez, con la quale ho vissuto per qualche anno, sono le donne più importanti della mia vita. Tutti i miei personaggi nascono da queste due origini. Le donne della Mancha erano tremende, divertenti, con un’enorme capacità di sopravvivere. Blanca era indipendente, la nuova Spagna. In genere, è difficile scrivere dei personaggi femminili, almeno tanto quanto quelli maschili. Ma come autore, vedo il dramma solo con le donne perché sono più dirette e divertenti. Quando scrivo dei personaggi maschili affiora la mia condizione di maschio e li trovo più noiosi. Mi vengono molto cupi... È così». Su Silencio non c’è quasi nulla di deciso. «Siamo in fase di casting. Sì, sono sicuro che ci sarà Rossy de Palma. È da diverso tempo che voglio lavorare con lei, e avrà una parte molto drammatica, austera. Il resto è nell’aria. Sto met- tendo delle facce. C’è un protagonista maschile che serve a creare un conflitto tra le donne. Lo sto affrontando come un dramma diverso dagli altri miei film di questo genere, come Tutto su mia madre o Tacchi a spillo. Voglio un dramma senza urli. Almeno, questa è la mia intenzione. Per il resto mi affido all’istinto, rimpiango il colore rosso e alla fine lo metto negli arredi. Affiora la mia natura, ed è sempre la benvenuta». Donne sull’orlo... riflette la Madrid del 1988, quella gente, quella gioia. Accadrà lo stesso con Silencio? «Non lo so. Il cinema è l’arte migliore che ci sia per ritrarre un determinato momento di un paese. Non so se il mio nuovo lavoro rispecchia la Spagna attuale. Di certo, rispecchia il mio stato d’animo, più cupo di allora. Non sarà un film pessimista, ma la Spagna in cui viviamo ha una visione meno ottimista e più nervosa del nostro futuro. In Donne... stavamo attraversando una transizione perfetta. Adesso abbiamo un disperato bisogno di un’altra transizione ma non sappiamo come realizzarla. Peggio ancora, avremmo già dovuto attraversarla». Torniamo al musical. Sul perché non lascia che i suoi connazionali vedano questi allestimenti, Almodóvar dice: «Non voglio che questi adattamenti musicali o teatrali dei miei lavori siano visti in Spagna. Non sono i miei film; sono linguaggi molto distanti. Il pubblico spagnolo ha un accesso diretto al mio cinema, cosa che non avviene all’estero. Inevitabilmente vedrebbe che certe cose che gli piacevano del film qui sono scomparse, o sono cambiate in modo sconcertante ma necessario per gusti diversi, volgendo alla parodia, perché il teatro, e il musical ancora di più, ha bisogno della farsa». Anche se il gazpacho e la segreteria telefonica sono sempre lì. «Se siete curiosi, se potete, venite a Londra», dice. Nel musical si arricchisce la parte che al cinema era di Carmen Maura, quella di Pepa, l’attrice che vede esplodere il suo mondo sentimentale. E i suoi amici, a partire da Candela, che si è messa con un terrorista sciita, non la aiutano. «In questa versione, Lucia (la prima moglie dell’amante di Pepa) è pazza, il che la rende un terreno fertile per ogni attore. Lo stesso vale per Candela. Ricordo che María Barranco, la mia Candela, fu in stato di grazia per tutte le riprese. Ma il personaggio difficile è quello di Pepa, perché è al servizio del resto, deve restare se stessa senza far vedere il problema che nasconde, ed essere divertente. Sia Carmen che Tamsin Greig (la protagonista del musical) sono bravissime in questo movimento virtuoso tra il dramma e la farsa, senza forzare». Almodóvar non ha mai girato un musical, ma le canzoni nei suoi film hanno un ruolo molto importante. «La cosa più simile che ho fatto è Trailer per gli amanti del proibito (un cortometraggio del 1985, ndr)». Non ha mai diretto nemmeno opere liriche o di teatro. «Me lo hanno proposto mille volte, nei migliori teatri e alle migliori condizioni. Mi fa paura. È più forte di me. Se fossi più giovane, forse non ci penserei tanto». Insicurezze? «Sì, anche nel fare cinema, ma in questo caso l’incertezza fa parte dell’avventura Ogni film è diverso; non sai come lo farai. Il fatto di dubitare mi tiene in allerta, non mi paralizza, anzi, mi rende più dinamico».
© 2015 Ediciones E-L PAÍS La Repubblica (traduzione di Luis E. Moriones)