la Repubblica, 14 gennaio 2015
I fondi per finanziare la tre giorni del terrore parigino, Amedy Coulibaly li aveva rimediati con un prestito della Cofidis, un’agenzia francese specializzata nel credito a distanza
I fondi per finanziare la tre giorni del terrore parigino, Amedy Coulibaly li aveva rimediati con un prestito della Cofidis, un’agenzia francese specializzata nel credito a distanza. Seimila euro, chiesti il 4 dicembre, barrando pure la casella della “massima urgenza” sul modulo. Coulabily era un delinquente conclamato, a maggio aveva tolto il braccialetto elettronico ed era stato condannato in via definitiva per terrorismo. Da quando era uscito dal carcere, per sua stessa ammissione, aveva «fatto il giro delle moschee di Parigi» con il dichiarato intento di «fare proselitismo» e «arruolare» giovani jihadisti. Insomma, non era proprio imprevedibile che quei soldi non servissero per acquistare la macchina nuova. E infatti sono finiti in kalashnikov e granate. «Ho dato diverse migliaia di euro ai fratelli Kouachi per consentirgli di ultimare il piano», ha confessato Coulibaly nella video rivendicazione postuma postata da un complice – ora ricercato – sul sito Dailymotion. La notizia non è solo una curiosità, ma ha una sua importanza perché dimostra, una volta di più, la totale mancanza di reattività dei servizi di sicurezza francesi, finiti, in queste ore, al centro del fuoco mediatico e politico, tanto che in molti sono pronti a scommettere sul loro imminente azzeramento. L’elenco di errori, già piuttosto lungo sino a qui, si è allungato ieri. Quando la Reuters ha pubblicato online un video, uno dei tanti – per qualcuno troppi – di questa storia. Le immagini sono state riprese con un telefonino da un appartamento che dà sulla strada. Sono i minuti successivi alla strage. Si vede la Citroen C3 nera dei fratelli Said e Chérif Kouachi ferma all’angolo tra due strade e i due che si avvicinano. Hanno appena finito di sparare e hanno interrotto la loro fuga – indisturbata – per ricaricare le armi. Girano con calma intorno alla macchina. Aprono la portiera e poi si mettono a trafficare con un kalashnikov e quello che pare un lanciagranate (il video è un po’ sfocato). Poi cominciano a gridare la solita frase, in arabo, «abbiamo vendicato il profeta Maometto, abbiamo ucciso Charlie Hebdo», e se ne vanno, con tutta calma. Sulla loro strada, a quel punto, arriva, con altrettanta calma, in direzione opposta, una macchina della polizia. Le sirene sono spente, ha solo i lampeggianti. C’è un secondo di esitazione collettiva, poi i due fratelli scendono dalla C3 e aprono il fuoco. Una scena di guerra, la guerra del terrorismo contro la Francia, per rubare le parole del primo ministro Manuel Valls. Gli agenti sono completamente impreparati all’evento, indietreggiano e la- sciano scappare il commando. A lasciare perplessi è soprattutto il ritardo con cui sembra essere scattato l’allarme e l’assoluta tranquillità con cui i due assalitori sono riusciti ad allontanarsi dal luogo della strage. Un luogo che era ritenuto uno dei principali “obiettivi sensibili” non solo della Francia ma dell’Europa. Ma più si va avanti nella ricostruzione dei tre giorni e passa il comportamento dell’apparato di sicurezza mostra buchi e inefficienze. La prima cosa che si è detta, dopo l’identificazione di Coulibaly, è che si trattava di un cane sciolto. Dopo cinque giorni d’indagini si è invece scoperto che la polizia non aveva capito niente: gli indirizzi di casa che aveva nei registri erano sbagliati, così come tutte le altre informazioni sul suo conto. Altro che cane sciolto: Coulibaly era il fulcro di una cellula molto strutturata, sostenuta – ancora non è chiaro con quale intensità – da almeno tre organizzazioni terroristiche: l’Aqap (Al Qaeda nella penisola araba) yemenita, vicina ai fratelli Kouachi; l’Is, a cui si era rivolto Coulibaly; ed in più – si è scoperto ieri – una «filiera afgana». L’uomo che il 2 gennaio, alla vigilia delle stragi, ha accompagnato in Siria Hayat Boumeddiene, la moglie di Coulibaly, è stato identificato come Mohamed Belhoucine, uno studente di ingegneria francese, il cui fratello è stato condannato a due anni in quanto membro di un’organizzazione che arruolava combattenti da spedire tra Pakistan e Afghanistan. La fuga in Siria di Hayat Boumeddiene e Mohamed Belhoucine è con ogni probabilità il punto più basso dell’operato dei servizi segreti francesi, che si sono fatti scappare sotto il naso due stragisti con precedenti e frequentazioni sospette, e che ancora il 9 gennaio – quando tutto era già finito e Hayat era fuggita da una settimana – avevano lasciato diramare dalla polizia un mandato di cattura sostenendo che fosse «in Francia, armata e pericolosa». Ma l’organizzazione era ancora più estesa di così. Perché oltre all’uomo che, secondo la polizia, in queste ore gira per Parigi guidando una Mini Cooper intestata alla Boumeddiene, ne faceva parte almeno un altro elemento. Si tratta di tale Fritz-Joly Joachin, 29 francese di origine haitiana. Anche lui, proprio alla vigilia delle stragi – il 30 dicembre, appena due giorni prima di Hayat – aveva deciso di lasciare la Francia per andare in Siria, passando per la Bulgaria, insieme al figlio. Non aveva però il consenso della moglie e quindi è stato arrestato per sequestro di persona. Nelle ultime ore un secondo mandato di cattura è stato spiccato dalla Francia, stavolta per terrorismo: Fritz-Joly faceva parte della banda del parco di Buttes- Chaumont, quella dei fratelli Kouachi, da cui tutto è cominciato.