Corriere della Sera, 14 gennaio 2015
I buoni romanzi di una volta. Bonaventura Tecchi e il medico di campagna
La lettura di un libro può dare un senso di ristoro come entrare in una baita dopo una faticosa scarpinata in montagna o distendersi sulla spiaggia dopo una lunga nuotata. Può dare questo, un libro, indipendentemente dal contenuto. E spesso è dovuta, questa impagabile sensazione di ristoro, quasi unicamente alla scrittura, alla magia che essa riesce a comunicare, a quel saper donare come un’aria buona o le luci e le ombre di cui i nostri occhi e la nostra fantasia hanno bisogno.
Viene da annotare questo dopo aver letto Tarda estate, romanzo di Bonaventura Tecchi, pubblicato postumo da Bompiani nel 1980 e ora riproposto da Santi Quaranta (pagine 168, e 13). Con questo breve testo costruito in forma di diario, Bonaventura Tecchi (1896-1968), autore fino a una cinquantina d’anni fa di una certa risonanza, racconta una storia che potrebbe essere come tante altre, ma che la magia della scrittura rende unica e indimenticabile. Protagonisti, un anziano medico di campagna, rimasto vedovo, e il figlio che va a trovarlo assieme alla sua seconda moglie, giovane e bellissima.
Il figlio costretto a partire per un lavoro all’estero, l’inaspettata convivenza tra il padrone di casa e la nuora, protrattasi a lungo, sfiora l’inconfessabile, uno scandalo devastante in un mondo di provincia dove uomini e donne sanno imporre limiti invalicabili ai loro stessi desideri. L’irreparabile non accade, e per il semplice motivo che il temuto peccato rimane un’allarmante ipotesi nella mente dell’anziano medico, una sbigottita confessione da affidare al diario: «Alle volte mi sembra che questo alone di mistero sia soltanto un “giuoco di donna”, un mezzo per comunicarmi segretamente la nostra intesa. Quale intesa? Quali sono i limiti di questo sentimento? È qui che mi smarrisco».
Si smarrisce, il buon medico di campagna, ma sa come trovare la giusta strada, aiutato dalla rustica saggezza dei vicini e da una natura che nasce e muore, sempre rinnovandosi, mostrando un’appagante continuità che soltanto la vita lontano dagli affannosi agglomerati urbani riesce a percepire in pieno. Ed è l’attenzione per la natura, per il paesaggio, per la più lieve sfumatura delle stagioni, a fare di questo racconto un magnifico esempio di letteratura.
Il paesaggio è quello della Tuscia, un Nord che è ancora Sud, un angolo del mondo dove batte il cuore d’Italia, se l’Italia ha un cuore. Tutto si svolge in dodici mesi, da un ottobre all’altro, in un momento imprecisato degli anni Sessanta. Da un ottobre all’altro, vale a dire in una prevalenza di tarda estate, quando è dato cogliere l’acquietarsi della natura dopo tanto energico imporsi.
Decorato al valore militare nella Prima guerra mondiale (condivise la prigionia con Ugo Betti e Carlo Emilio Gadda), Bonaventura Tecchi fu soldato anche nella seconda. Addetto alla censura delle lettere dei militari in Sicilia, ne ricavò un libro che merita di essere ricordato: L’isola appassionata (pubblicato da Einaudi nel 1945, e poi riedito nel 1961).
«Metodico compositore di libri», fu definito Bonaventura Tecchi da Giacomo Debenedetti, il quale ne evidenziò la scrittura che ricorda la prosa d’arte, ma senza sfoggi, sempre controllata. Germanista, collaboratore di «Solaria», direttore del fiorentino Gabinetto Vieusseux, questo scrittore oggi del tutto dimenticato ha lasciato libri importanti, a suo tempo pubblicati da Treves e altri prestigiosi editori ( Il nome sulla sabbia, 1924; Tre storie d’amore, 1931; Storie di bestie, 1958; Baracca 15 C, 1961).
Con questo titolo, la casa editrice Santi Quaranta raggiunge degnamente i venticinque anni di attività, segnalati con la pubblicazione di un elegante catalogo storico.