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 2015  gennaio 14 Mercoledì calendario

In Europa i lupi solitari capaci di rifare un massacro alla Charlie Hebdo sono 3-5 mila. Di questi, almeno una ventina si trovano in Italia

ROMA Dialogano via Internet, parlano di «onorare la jihad», dicono che «bisogna colpire presto». Sono sotto controllo da mesi, non sembrano avere capacità operative immediate. Però fanno paura perché quanto accaduto a Parigi potrebbe averli esaltati convincendoli ad emulare le stragi compiute nella capitale francese dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly. Si concentra su un gruppo di stranieri residenti in Italia collegati con fondamentalisti che si trovano in Europa, ma anche arruolati dalle organizz azioni fondamentaliste in Siria e in Iraq, l’indagine dei carabinieri del Ros coordinata dai pubblici ministeri di Roma. In tutto, una ventina le persone che si muovono tra il nostro Paese e l’estero, con «basi» nella capitale, ma anche in Lombardia e Veneto dove altre indagini collegate sono tuttora in corso.
Sono i «lupi solitari» dei quali ha parlato davanti al comitato parlamentare sui servizi segreti il sottosegretario alla presidenza Marco Minniti, evidenziando la necessità di «tenere altissima l’attenzione degli apparati di sicurezza, ma anche dei cittadini perché queste persone si uniscono in piccole cellule e tentano di ottenere il massimo sforzo anche senza pianificare atti imponenti». Quanto accaduto a Parigi nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato Kosher dimostra come si possano provocare vittime e tenere in scacco il mondo intero anche senza un’organizzazione perfetta dell’attentato.
Non a caso il capo dell’antiterrorismo dell’Unione europea Gilles de Kechove mette in guardia: «Non possiamo prevenire nuovi attacchi, sappiamo che è in atto una massiccia radicalizzazione, soprattutto nelle prigioni». I numeri fanno spavento. Li fornisce il direttore di Europol Rob Wainwright al Parlamento britannico, spiega che ci sono «tra i 3mila e i 5mila combattenti europei andati in Medio Oriente per addestrarsi e partecipare alla guerra santa, che potrebbero tornare in patria proprio per compiere attentati».
La «rete» italiana sarebbe composta da giovani tra i 20 e i 30 anni, immigrati, ma soprattutto stranieri di seconda generazione nati nel nostro Paese che si sono radicalizzati proprio grazie all’indottrinamento avvenuto attraverso la rete Internet, la frequentazione di luoghi di culto, i contatti con alcuni «arruolatori». Le verifiche compiute al nord identificano tra i reclutatori personaggi provenienti dall’area del Maghreb e dai Balcani. Nella maggior parte dei casi si tratta di insospettabili esaltati dai richiami provenienti da Al Qaeda e dai leader dell’Isis che incitano i propri seguaci a «colpire con ogni mezzo e in ogni modo» e quindi «investire, sparare, decapitare» perché così si devono «uccidere gli infedeli».
L’indagine partita proprio dal controllo del web, è poi andata avanti mettendo sotto controllo alcuni «sospetti», cercando di seguirne le mosse in modo da ricostruire contatti e strategie. «Se avessimo avuto la sensazione di un pericolo imminente li avremmo già fermati», spiegano gli investigatori lasciando intendere che sviluppi potrebbero arrivare a breve proprio per fermare il possibile processo emulativo.
Fiorenza Sarzanini

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Per ora la polizia francese non ha ancora trovato un link solido tra i killer e organizzazioni all’estero. Esistono degli indizi interessanti che portano ai qaedisti dello Yemen, compresa una rivendicazione indiretta, i sospetti di un finanziamento di 20 mila euro e forse la fornitura di armi, arrivate dall’estero. C’è anche un possibile collegamento con l’Isis. Ma nulla di determinante. Una situazione analoga a quella dei fratelli Tsarnaev autori dell’attentato a Boston. Lì una pista conduceva al Caucaso, però si è fermata. E la stessa cosa si può dire per molti dei potenziali terroristi in giro per l’Europa. Nulla di anomalo, è la nuova realtà estremista. Nuclei composti da elementi d’origine diversa, che si raccolgono attorno ad un’idea di lotta violenta e dove l’appartenenza ad una fazione non è fondamentale. Trovi il piccolo criminale convertito in prigione all’islamismo. Il reduce del conflitto mediorientale. Il militante che vorrebbe andare sul fronte della Jihad e si accontenta di quella nella sua città. In questo modo l’etichette del «partito» si sbiadiscono, sono superate dall’esigenza di passare ai fatti. E’ un network molto fluido, agile e mobile. Un’evoluzione del progetto ideato anni fa da un importante ideologo siriano, Abu Musab al Suri, che non a caso ha vissuto a lungo tra Gran Bretagna e Spagna ispirando molti mujaheddin nostrani. «Nizam, la tanzim», era il suo dogma, sistema senza organizzazione o gerarchia. Una cellula che agisce in base a opportunità e circostanze senza badare troppo alla catena di comando interna o a rapporti con una casa madre lontana. Gli attuali terroristi sembrano muoversi lungo queste linee. Dunque un rapporto con i fratelli dello Yemen o in Siria può esistere, però non è l’elemento più importante. È la soluzione perfetta. Che permette a mujaheddin non troppo preparati di partecipare alla battaglia e ad un movimento di entrarci in un secondo momento senza compromettere i suoi uomini più preziosi. Di Amedy Coulibaly ne troveranno a dozzine.