Corriere della Sera, 13 gennaio 2015
Come la guerra di Suez del 1956 cambiò gli inglesi. Dalla commedia di Osborne alla minigonna di Mary Quant, fino a un interessante dibattito sulla «nuova moralità»
Studiando la storia del Canada, mi sono imbattuto nella Crisi di Suez del 1956, quando per la prima volta Ottawa si espresse e agì in contrasto con la Gran Bretagna. Ho scoperto poi che il conflitto viene ricordato dagli storici anche per altre rare particolarità: oltre al Canada, per la prima volta anche l’Australia fu in disaccordo con la Gran Bretagna; fu l’ultima invasione militare fatta dalla Gran Bretagna senza l’autorizzazione degli Stati Uniti, segnando secondo molti la fine dell’Impero Britannico; in modo simile, fu l’ultimo atto della politica imperiale e coloniale francese; fu una delle poche volte in cui gli Stati Uniti furono in disaccordo con le politiche d’Israele; e infine fu forse l’unica volta in cui Usa e Unione Sovietica si allearono per garantire la pace internazionale. Lette oggi, queste scelte sembrano suggerire che durante la crisi di Suez il mondo andò un po’ «al contrario» rispetto alla geopolitica tradizionale. Quali furono le condizioni per cui questo avvenne? Che cosa rese la crisi di Suez un vero e proprio «unicum» nella storia del secondo Novecento?
Davide Chicco
Caro Chicco,
Il dissenso del Canada e dell’Australia non fu la sola conseguenza della guerra di Suez. Vi furono pubbliche manifestazioni di protesta intorno alla residenza londinese del Primo ministro. Quasi tutta la stampa liberale criticò aspramente l’iniziativa presa dal governo di Anthony Eden. Qualche deputato conservatore si dissociò pubblicamente, mentre altri preferirono tacere ma lasciarono intravedere il loro malumore. Dai sondaggi risultò che la maggioranza della pubblica opinione non capiva perché la Gran Bretagna, dopo avere combattuto contro la spregiudicata politica di Hitler, smentisse così clamorosamente i princìpi a cui si era ispirata durante la Seconda guerra mondiale.
Una crisi epatica e il malessere della sua maggioranza costrinsero Eden a dimettersi nel gennaio del 1957. L’uomo che lo sostituì, Harold Macmillan, era ben conosciuto in Italia dove era stato «ministro residente» del governo britannico (una sorta di proconsole) dall’ultima fase della Seconda guerra mondiale all’immediato dopoguerra. Il nuovo Primo ministro capì che la perdita del Canale di Suez avrebbe reso pressoché impossibile per il suo Paese l’amministrazione delle colonie africane e asiatiche secondo i criteri imperiali delle generazioni precedenti. Da quel momento, con grande lucidità, avviò una coraggiosa politica di decolonizzazione.
Dalla crisi di Suez decorre anche una fase nuova della vita culturale britannica. Nell’anno della spedizione fallita andò in scena a Londra una commedia di John Osborne, «Look back in anger» (in italiano «Ricorda con rabbia») in cui le distinzioni di classe della società britannica vengono descritte e criticate con brutale realismo. Intorno a Osborne si formò allora un gruppo di «angry young men» (i giovani arrabbiati) che era deciso a scrollarsi di dosso il peso delle antiche convenzioni sociali. Chi visse a Londra in quegli anni assistette a una rivoluzione dei costumi, dai rapporti sessuali alla moda (la minigonna della stilista Mary Quant) e a un interessante dibattito sulla «nuova moralità». La Gran Bretagna non rinunciò alle sue ambizioni politiche, ma capì allora che il suo bagaglio imperiale non corrispondeva più alle esigenze e ai gusti di una generazione cresciuta dopo la fine della Seconda guerra mondiale.