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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

Cristiano Ronaldo vince Pallone d’oro per la terza volta, la seconda di fila. È la quarantaduesima volta dal 1956 che va nelle mani di un’attaccante. Peccato per Neuer

Il Pallone d’oro si alza con le mani ma è fatto per i piedi. L’immaginario calcistico dei giurati è lo stesso di chi, bambino, quando vede per la prima volta una palla cerca subito un posto dove calciarla, che sia una porta vera o (se accade ancora) uno spazio tra due borse in un prato. L’attaccante è l’archetipo, l’uomo che esalta, quello che rimane nella memoria. Dunque, per la quarantaduesima volta dal 1956, il Pallone d’oro lo vince l’attaccante. E per la terza, la seconda di fila, lo vince Cristiano Ronaldo che oltre alle qualità tecniche fuori media e un elenco infinito di record individuali, metteva sul tavolo 4 titoli fra cui una Champions League, la famosa Decima del Real Madrid alla quale ha contribuito con 17 gol e una presenza scenica decisiva.
Giusto così, ma per noi sarebbe stato giusto anche se avesse vinto Manuel Neuer. La storia del portiere della Germania campione del mondo attraeva e poteva essere il simbolo di una rivoluzione di pensiero. Invece non solo Neuer ha perso ma è addirittura arrivato terzo, di pochissimo ma terzo, dietro Lionel Messi, il quale anche nel suo anno no (relativamente parlando) resta un fenomeno.
La sconfitta annunciata di Neuer, che ha incassato con il sorriso, è il riassunto di 150 anni di storia del calcio: il portiere affascina, ma vive una vita di diversità, pazzia, responsabilità terribile, solitudine. Una missione esistenziale per pochi, di nicchia, cinema d’essai che non sbancherà mai Hollywood. Per questo aveva vinto una sola volta con Jascin nel 1963. E per questo non ha vinto neanche ieri, nonostante il tedesco rappresenti un salto evolutivo epocale nel ruolo. Magari il treno ripasserà, ma se tu portiere non vinci neanche quando conquisti il Mondiale (cfr. Buffon 2006) quando mai potrai farcela?
Cristiano Ronaldo l’anno scorso sul palco di Zurigo aveva pianto, stavolta ha gridato come un guerriero la sua felicità. Perché i tempi sono cambiati. Allora la sua fu la rivincita di chi, dopo il trionfo nel 2008, veniva da 4 secondi posti ed era stato perfidamente definito (peraltro da Ibrahimovic, Pallone d’oro solo di rosicamenti) «lo spettatore privilegiato che guarda sempre dalla prima fila i trionfi degli altri». Cioè di Messi. Proprio quella vittoria ha aperto per CR7 una nuova via fatta di maturità e consapevolezza, in campo e fuori. Ripulitosi nel tempo dai barocchismi di gioventù, sulla via a 29 anni di un’asciuttezza tecnico-tattica funzionale anche all’orchestra del Real in cui gioca, il più forte giocatore del mondo nel 2014 ha accolto il premio con ovvi ringraziamenti al mondo intero e un manifesto in linea con la sua ambizione, il culto del lavoro e il suo essere, Carlo Ancelotti dixit, «un professionista perfetto»: «Questo terzo Pallone d’oro mi dà la motivazione per continuare a vincere altri titoli collettivi e individuali. E già l’anno prossimo spero di eguagliare Messi».
Messi, appunto. Per il secondo anno di fila è stato lui ad ammirare dalla platea il trionfo degli altri. Imbustato nel solito completo sberluccicante in toni granata Barcellona style – così diverso dagli impeccabili neri variamente declinati da tutti gli altri presenti al galà – Leo ha preso atto a denti stretti della sfida di Ronaldo e lo ha sportivamente applaudito: «Complimenti a lui, è stato il migliore. Il mio anno invece è stato complicato, da dimenticare. Il prossimo? Vorrei continuare con il Barça». Un’ora prima, all’arrivo in teatro, aveva detto: «Il prossimo anno non so dove giocherò». Malinconia (e confusione) di una Pulce. Succede, quando tutto l’oro del mondo se lo porta via l’Altro.
Alessandro Pasini