Corriere della Sera, 13 gennaio 2015
Il comando centrale Usa sotto l’attacco dei cyberjihadisti. I profili Twitter e Youtube sono stati violati e numeri telefonici e mappe militari top secret sono state diffuse in rete. Obama: «Se ci dobbiamo connettere, dobbiamo essere protetti»
Lunedì, 12.27. Obama cinguetta su Twitter: Se ci dobbiamo connettere (a Internet), allora dobbiamo essere protetti.
La risposta al suo saggio consiglio arriva rapidissima, con gli stessi tempi e modi del web. Sul Twitter presunti simpatizzanti dell’Isis scaricano la loro bomba: «Stiamo arrivando. Soldati americani guardatevi le spalle», scrivono sull’account Twitter del Comando Centrale, lo snodo strategico che da Tampa, Florida, coordina le operazioni in Medio Oriente e Afghanistan. I cyber pirati hanno attaccato il profilo, ne hanno preso possesso per poi diffondere informazioni sui militari. Una storia con molti interrogativi visto che secondo gli attivisti di Anonymous l’autore dell’assalto risiede nel Maryland, ossia vicino alla capitale Usa.
Chiunque sia l’hacker per alcuni minuti semina elenchi telefonici, nominativi di alti ufficiali, mappe militari sulla Cina e la Corea del Nord. A suo dire materiale riservato, informazioni top secret sottratte durante l’incursione nell’archivio digitale. Una cartina indica le installazioni militari del regime di Pyongyang, un’altra postazioni cinesi, scenari bellici.
Il Pentagono non tarda a reagire e dice che «non è una bella cosa», conferma l’avvenuta intrusione su Twitter e Youtube, però nega che i file rilanciati siano segreti. E in effetti non lo sembrano neppure agli esperti. I militari minimizzano la minaccia, cercano di rimediare alla brutta figura tra imbarazzi e domande, l’account è sospeso. Interviene anche l’Fbi che affianca gli investigatori in divisa nella caccia ai colpevoli. Gli agenti esaminano la «prova» principale. Sulla pagina Centcom gli hacker hanno scritto «I love Isis», «Cybercaliphate» ed hanno piazzato la foto di un militante con la kefiah bianca e nera. Sul canale YouTube hanno invece «caricato» video di propaganda del movimento jihadista. Segni che paiono degli sfregi.
L’attacco è ad effetto perché cade in un momento di grande tensione internazionale. Inoltre è in contemporanea a importanti interventi dello stesso presidente Obama sulla cyber-sicurezza. Non potevano scegliere momento migliore per colpire, i responsabili sanno bene che la loro iniziativa farà discutere.
Gli specialisti si chiedono chi possa essere stato. La rivendicazione dell’Isis è un solo indizio generico, non una prova. Il movimento del Califfo ha militanti capaci anche con il computer, però non convince troppo il linguaggio usato dagli hacker e la segnalazione di Anonymous spinge a guardare più vicino e non alle terre del Califfo. Intanto negli ambienti militari da tempo si invitano soldati e ufficiali a fare molta attenzione ai social network, ad essere cauti a quello che si posta. Una raccomandazione rimbalzata dall’altra parte dell’Atlantico e rivolta ai poliziotti francesi.
I dubbi di queste ore ricordano quelli sul grande ricatto alla Sony per il film «The Interview». Inizialmente le autorità statunitensi hanno accusato la Corea del Nord, ipotizzando un’operazione gestita dai servizi segreti di Kim per vendicarsi di un film che metteva alla berlina il leader. E la stessa Casa Bianca ha avallato l’accusa. Poi si è parlato di una pista interna, con il coinvolgimento di ex dipendenti che avrebbero aiutato degli hacker a entrare nel sistema della grande compagnia. Ipotesi intrigante su un fronte sempre più dinamico.