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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

Un maxi sequestro da 300 milioni per Carminati, Buzzi & Co: questa la richiesta della Procura di Roma. Nel mirino i beni gestiti dal boss di Mafia Capitale attraverso una fitta rete di prestanome

Nullatenente. Di dichiarazioni dei redditi Massimo Carminati ne ha presentate solo due in tutta la sua vita. Ma la lista dei beni che gestiva tramite prestanome e familiari è lunga. Tanto da comprendere una fantomatica Associazione libertà e sviluppo gestita dal figlio Andrea e «nata per avere rapporti con Enti pubblici, gestendone le risorse finanziarie». A scriverlo è la procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone che alla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma ha chiesto che al”Cecato” e ai dieci principali indagati di Mafia Capitale sia disposto un sequestro anticipato di beni per un totale di circa 300 milioni di euro, l’obbligo di soggiorno nel comune di Roma per tre anni e sorveglianza speciale. Per chi come Carminati è in regime di 41 bis nel supercarcere di Parma cambia poco e nulla. Almeno per il momento. Le richieste sono state fatte dai pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini nella prospettiva che gli indagati tornino liberi prima di eventuali sentenze definitive. Dal momento che, a parte l’ex ad dell’Ente Eur spa Riccardo Mancini tornato in libertà dopo il Riesame, la maggior parte degli indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso è ancora in carcere, la decisione che il Tribunale di Sorveglianza prenderà in maggio avrà grande rilievo sotto il profilo patrimoniale.
RISTORANTI E NEGOZI
La procura, infatti, ha chiesto un sequestro anticipato dei beni finalizzato alla confisca. Si va dalle cooperative e gli appartamenti di Salvatore Buzzi,”ministro dell’economia” di Carminati, alle quote dei ristoranti”Mucca Pizza srl” e”al Frate” di Riccardo Brugia per passare alla”Green Car srl” e”Stock Garden” di Matteo Calvio, ritenuti rispettivamente capo militare e”picchiatore” del clan. Le misure, incluse quelle di pubblica sicurezza, riguardano anche gli imprenditori considerati collusi Cristiano Guarnera, Agostino Gaglianone e Fabio Gaudenzi; il boss emergente Giovanni De Carlo; il gestore della pompa di benzina di Corso Francia dove si riuniva la banda, Roberto Lacopo. Ma anche Mancini, nei confronti del quale la procura ha rilevato «una notevole sperequazione tra il patrimonio e le disponibilità finanziarie-mobiliari, da un lato, e le attività economiche e lavorative svolte e i relativi redditi dichiarati, dall’altro». Secondo gli inquirenti, i beni intestati all’ex ad dell’Ente Eur, ai suoi familiari o prestanome (decine di immobili tra Roma, Sabaudia e Rieti oltre a quote di numerose società di diverso genere) sarebbero «di natura illecita e/o il frutto di reimpiego».
L’ASSOCIAZIONE
Tra le centinaia di milioni di euro di beni elencati si chiede il sequestro anche di un’associazione intestata al figlio di Carminati, Andrea. È l’associazione culturale Libertà e sviluppo che – si legge nello statuto – tra i suoi obiettivi ha quello di «organizzare, su commissione delle Regioni, dei comuni e degli altri enti locali, corsi di addestramento e perfezionamento professionale, collaborare, nell’ambito degli scopi istituzionali, con i ministeri competenti e gli istituti di cultura stranieri in Italia». Il figlio di Carminati ne è fondatore, presidente e membro del consiglio direttivo. La procura non ha dubbi: l’associazione è «nata per avere rapporti con enti pubblici, gestendone le risorse», ed è «indirettamente riconducibile» al Cecato. Il quale, pur risultando praticamente nullatenente, di fatto «nella sua posizione di vertice dell’associazione mafiosa si è servito di risorse umane e mezzi, garantendosi ingenti disponibilità economiche, finanziarie e patrimoniali». Tutte ricchezze che provengono da attività illecite per le quali Carminati «ha messo in piedi un vero e proprio”circuito criminale”» tentando di dare al tutto una «parvenza di liceità». Anche attraverso un’associazione culturale.