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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

Così Benjamin Netanyahu ha fatto infuriare Hollande: prima si è presentato alla marcia di Parigi non invitato, poi è andato a far visita ai reduci dell’attentato al supermercato kosher con uno spiegamento di forze di sicurezza ingombrante, infine ha lanciato l’appello agli ebrei francesi a tornare «nella loro casa», cioè Israele

Beniamin Netanyahu, primo ministro di Israele, in prima fila l’altro pomeriggio alla “marcia repubblicana” contro il terrorismo – insieme a una sessantina di capi di stati e di governo – si era in realtà autoinvitato. Alle rivelazioni di buon mattino dei quotidiani israealiani Haaretz e Maariv sono seguite le imbarazzate ma esplicite conferme del ministero degli Esteri francese. Fino a far esplodere il caso, fino a dover toccare con mano a che punto sono arrivati i rapporti tra Francia e Israele dopo la strage di Charlie Hebdo: un livello mai così basso.
Non è servita ad allentare la tensione, anzi, neppure la vista che Netanyhau ha fatto intorno all’ora di pranzo alla comunità di Porte de Vincennes, fermandosi per un quarto d’ora buono davanti all’Hyper Kasher della strage, incontrando i sopravissuti – ha parlato soprattutto con Céline, uno degli ostaggi- tra una folla commossa e anche rabbiosa che lo invocava: “Bibi, Bibi”. Lui ha riservato ai microfoni queste parole: «Mi aspetto che ogni leader, dopo che abbiamo marciato insieme per le strade di Parigi, combatta il terrorismo, anche quando è diretto contro Israele e gli ebrei».
L’IRA DI HOLLANDE
Non è servita questa visita perché è avvenuta solo grazie a uno spiegamento di forze enorme, giudicato non spropositato ma quanto meno inopportuno in queste ore, e tutto israeliano, ad aggiungere sale sulla ferita. Come solo giornalisti israeliani Netanyahu ha voluto incontrare alla fine della vita. Lo fa sempre, è vero, ma stavolta non gliel’hanno perdonato.
Non gli ha perdonato nulla neanche Francois Hollande in persona, che s’è alzato all’improvviso l’altra sera, durante la cerimonia solenne nella sinagoga di rue de la Victoire, e ha lasciato la sala proprio mentre Netanyahu iniziava a parlare. Per pronunciare le parole che la Francia non sopporta: «Dico agli ebrei francesi: ricordatevi che Israele non è soltanto il luogo dove tornate per pregare, è la vostra casa». Un invito esplicito all’esodo, questo è stato.
Fu esplicito undici fanni fa, dopo la strage di Tolosa, anche l’allora primo ministro Ariel Sharon, con il suo appello agli stessi ebrei francesi «a fuggire dall’antisemitismo selvaggio». E anche allora lo scontro fu aspro: il presidente Jaques Chirac prima chiese diplomaticamente «spiegazioni» di quelle parole e poi dichiarò ufficialmente «non gradita» una visita di Sharon in Francia.
È un malessere che viene da lontano e la ricostruzione delle ore precendenti alla marcia, delle affannose cosultazioni tra Francia e Israele attorno alla presenza di Netanyahu, lo rende purtroppo benissimo. Parlano al telefono più volte – secondo la versione di Haaritz – Yossi Cohen, consigliere per la sicurezza nazionale d’Israele, e Jacque Adibert, consigliere diplomatico del presidente francese Hollande. E Adibert fa notare che Hollande vuole tenere fuori dalla marcia i temi caldo del Medio Oriene, al punto da non aver invitato neppure il leader palestinese Abus Mazen. A Ramallah, per giunta, l’aeroporto è bloccato dalla nebbia, un’altra buona ragione per restarsene tutti a casa. Cohen sembra convinto, non se ne farà nulla.
LA SCELTA DI ESSERCI
Tutto cambia all’improvviso sul far della sera, quando Netanyahu viene a sapere che a Parigi ci saranno anche Avigdor Liberman, ministro degli Esteri, e Naftali Bennett, responsabile dell’Economia, ufficialmente solo per incontrare la comunità di ebrei di Parigi. Liberman e Bennett, i due avversari di Netanyahu alle prossime elezioni del 17 marzo: il premier israeliano a quel punto rompe ogni indugio, decide che non può lasciar campo libero. Se è davvero andata così, hanno avuto la meglio motivi di squisita politica interna.
A Parigi saranno ore complicate per Netanyahu. Sicuramente non avrà avuto il tempo di rileggersi un passaggio dell’intervista rilasciata dal premier francese Manuel Valls alla rivista americana Atlantic, addirittura prima della strage di Charlie Hebdo: «Il posto degli ebrei di Francia è la Francia».