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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

L’eterna vicenda del crac Parmalat ereditata da Eurolat. La Procura della Capitale chiede nove anni di carcere per Sergio Cragnotti e 16 per Cesare Geronzi dopo la vendita della Centrale del Latte di Roma

Decideranno i giudici se Cesare Geronzi e Sergio Cragnotti meritano la condanna a nove anni di carcere chiesta ieri dal pm di Roma Paola Filippi. E toccherà ai due imputati e ai loro avvocati aggiornare con l’aiuto del pallottoliere l’intricata contabilità di dieci anni di processi, condanne e proscioglimenti nati dai crac di Cirio e Parmalat. A chi semplicemente si chiede come mai ha perso il lavoro o non ne trova, il processo Eurolat serve invece a suggerire qualche risposta, anche prima della sentenza. Indipendentemente da essa, infatti, la vicenda illumina il modo in cui i reggitori supremi del capitalismo italiano hanno distrutto ricchezza (e aziende e posti di lavoro) anteponendo all’interesse generale la cura della propria reputazione (con risultati, oggi possiamo dirlo, quantomeno deludenti) utile allora per le proprie ambizioni. Parliamo di un reato presuntamente commesso 16 anni fa per il quale si chiede di condannare un ex banchiere di 80 anni: sembra la giustizia di History Channel. L’accusa sostiene che Cragnotti, per rattoppare i conti del già zoppicante gruppo Cirio, doveva vendere a caro prezzo le sue attività nel settore latte. E che Geronzi, presidente di Capitalia, preoccupato in quanto la sua banca era molto esposta con Cragnotti, ha fatto pressioni su Calisto Tanzi perché la sua Parmalat, a sua volta indebitata con Capitalia e quindi ricattabile, pagasse quel caro prezzo.
Cragnotti riunisce le sue attività lattiere nella nuova scatola chiamata Eurolat e la vende a Tanzi il 7 luglio 1999 per 829 miliardi di lire, prezzo giudicato dalle varie perizie superiore al valore reale da 200 a 400 miliardi. Certo è che Cragnotti mise in bilancio una plusvalenza, cioè una differenza tra valore di libro e ricavato della vendita, di 335 miliardi di lire. E i magistrati sostengono di aver accertato che nella scatola Eurolat, prima di passarla a Tanzi, erano stati infilati debiti del gruppo Cirio verso Capitalia non riferibili al settore del latte. Da qui l’accusa di estorsione e di concorso in bancarotta per distrazione: il favore fatto a Cragnotti avrebbe infatti aggravato la bancarotta di Parmalat, esplosa quattro anni dopo l’operazione Eurolat. Geronzi ha sempre respinto le accuse che però non vengono dai magistrati ma da Tanzi in persona, e quindi dovrà semmai dolersi non della malagiustizia ma di un regolamento di conti tra ex frequentatori degli stessi salotti che un tempo si contendevano onorificenze e cavalierati e oggi si scannano per un proscioglimento o una prescrizione.
A ulteriore dimostrazione dello stile dei tempi giova ricordare che dentro Eurolat c’era anche la Centrale del Latte di Roma, privatizzata due anni prima dal sindaco di Roma Francesco Rutelli con l’assessore al Bilancio Linda Lanzillotta. Nel frattempo la Commissione Europea ha accertato che il comune di Roma aveva buttato dentro la Centrale del Latte, prima di venderla a Cragnotti per 106 miliardi, 97 miliardi a ripianamento delle perdite. Quindi il ricavo autentico della vendita era stato di nove miliardi. Per fortuna la Centrale del Latte era stata privatizzata con la clausola che non poteva essere rivenduta prima di cinque anni. Cragnotti ha rivenduto dopo due anni e nessuno ha fiatato mai, addirittura c’era un funzionario del Campidoglio a presenziare alla firma del contratto Eurolat. Ma due anni fa un tribunale ha dichiarato la nullità della privatizzazione (dopo 16 anni) ordinando a Parmalat di restituire la Centrale del Latte al Campidoglio.
Capitalia aveva la brutta abitudine di usare le aziende generosamente finanziate come vasi comunicanti per tappare con i soldi dell’una i buchi dell’altra, comprare tempo e rinviare le inevitabili insolvenze. Nello nello scorso dicembre la Cassazione ha confermato la condanna a Geronzi (rinviando alla Corte d’appello solo per la ride-terminazione della pena) per il caso Ciappazzi. Stessa bancarotta per distrazione, stesso meccanismo. In quel caso Tanzi fu costretto a comprare da Giuseppe Ciarrapico l’acqua minerale Ciappazzi, gioiello dell’industria siciliana con il piccolo difetto di essere chiusa da anni. Tanzi se l’è comprata, l’ha strapagata e ha continuato a pagare i dipendenti per non fare niente. Finché è esploso il crac Parmalat e tutti hanno capito che tipo di miracoli facevano i maghi del capitalismo all’italiana.