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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

Il Rogo di Prato. Lin Youlan, titolare di Teresa Moda, e altri due imprenditori sono stati condannati per l’incendio del 1° dicembre 2013 quando 7 operai cinesi hanno perso la vita tra le fiamme. Oltre al carcere, dovranno anche risarcire con 400mila euro le sigle sindacali che si sono costituite parte civile, dare 50mila euro al comune e 25mila a uno dei sopravvissuti

La legalità comincia a far sentire la sua voce a Prato. Ieri è stata emessa la sentenza di primo grado che condanna Lin Youlan e altri due imprenditori cinesi per il rogo del 1 dicembre 2013, quando persero la vita sette operai asiatici che lavoravano e dormivano nel capannone andato a fuoco.
Il pubblico ministero aveva chiesto pene leggermente più dure ma 8 anni e 8 mesi di reclusione per la principale imputata della ditta di «Teresa moda» con il riconoscimento dell’omicidio colposo plurimo segnano una vittoria dell’impianto accusatorio della Procura di Prato, guidata ora da Antonio Sangermano.
La sentenza di ieri è arrivata con una certa celerità perché riguarda solo un ramo dell’inchiesta condotto con rito abbreviato, bisognerà aspettare invece per la conclusione del dibattimento nel quale sono imputati anche i proprietari (italiani) del capannone, i fratelli Pellegrini. La Procura ha chiesto anche per loro l’incriminazione per omicidio colposo plurimo e qualora il giudice confermasse quest’impianto accusatorio le ripercussioni politico culturali su Prato sarebbero ampie perché si attesterebbe la complicità di un settore di proprietari immobiliari pratesi con le illegalità e lo schiavismo praticati nelle fabbriche dormitorio della città.
Qualche perplessità invece desta, nel dispositivo della sentenza, la decisione del giudice Silvia Isidori di condannare gli imputati a risarcire per una somma complessiva di 400 mila euro le sigle sindacali Cgil,Cisl, Uil e Filctem che hanno avuto certamente il merito di costituirsi parte civile nel processo ma che in tutti questi anni hanno gravemente sottovalutato il tema delle condizioni di lavoro proibitive degli operai cinesi in città.
La cifra riconosciuta alle organizzazioni confederali è otto volte superiore a quella assegnata come risarcimento al Comune di Prato (50 mila euro) mentre a uno dei sopravvissuti dell’incendio gli imputati dovranno dare ancora meno: 25 mila euro. Risulta penoso in queste circostanze paragonare numeri e cifre dei risarcimenti ma è evidente come il magistrato abbia fatto prevalere il riconoscimento delle virtù storiche del movimento sindacale piuttosto che una ricognizione puntuale di quanto accaduto nel distretto del tessile in questi anni di tambureggiante iniziativa cinese e di imperdonabili amnesie italiane.