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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

Gli effetti della strage di Charlie Hebdo si fanno già sentire nella comunità ebraica italiana. Nel silenzio dell’opinione pubblica, cresce l’antisemitismo e la fuga dal nostro Paese. Se nel 2013 sono stati circa 150 gli italiani di religione ebraica a tornare in Israele e nel 2014 poco meno di 400, il 2015 rischia di passare alla storia per una fuga a tre zeri

Gli effetti degli attentati parigini si stanno già ribaltando sulla comunità ebraica italiana. Nel silenzio dell’opinione pubblica, cresce l’antisemitismo e la fuga dal nostro Paese. Un fenomeno non nuovo che da oggi riceve un impulso forte e numericamente tangibile. Se nel 2013 sono stati circa 150 gli italiani di religione ebraica a tornare in Israele e nel 2014 poco meno di 400, il 2015 rischia di passare alla storia per una fuga a tre zeri. E in pochi anni i circa ventimila ebrei italiani potrebbero ridursi drasticamente.
L’urgenza è palpabile. Come la sensazione di insicurezza. A fine mese alcuni rappresentanti dell’Agenzia ebraica, l’organizzazione che si occupa dei trasferimenti dall’estero a Israele (l’Alyah, ascesa, ndr) saranno a Milano. Un incontro, in un luogo sicuro, promosso e voluto dalla comunità del capoluogo lombardo. All’ordine del giorno ci saranno i due temi ormai diffusi in Europa. La paura e la scelta di trasferirsi per sempre a Tel Aviv.
Già nel 2013 le percentuali di crescita della fuga erano impressionanti: +63% dalla Francia, +57% dall’Olanda. Dall’Europa Occidentale sono scappati in settemila. Tantissimi. Ma pochi rispetto ai numeri del 2014. Basti pensare che l’anno scorso soltanto dalla Francia in settemila hanno lasciato il proprio Paese per compiere l’ascesa.
L’Italia è un Paese che non appare più in grado di garantire sicurezza ai propri cittadini. Figuriamoci a quelli di religione ebraica. E ci riferiamo al brodo di “cultura” dentro il quale prolifera l’antisemitismo. Quando l’altro giorno Beppe Grillo ha postato sul suo sito la sparata complottista sull’assalto alla redazione di Charlie Hebdo, i commenti sottostanti erano da brividi. E almeno uno su quattro palesemente di odio antisemita.
Un recente studio di un’agenzia europea ha dimostrato che l’Italia detiene il primato di siti e post razzisti. Secondo la stessa ricerca, il 76 per cento degli ebrei vittime negli ultimi cinque anni di molestie o insulti non ha sporto denuncia. Circa l’80 per cento afferma che la situazione sia peggiorata negli ultimi cinque anni. Questo spiega perché un italiano preferisca abbandonare la penisola per trasferire la propria famiglia in una nazione che periodicamente è soggetta a ondate di attacchi terroristici. Sui bus, sui mezzi pubblici. Senza contare le decine di razzi che piovono da Gaza e il perenne stato di guerra. Paradossalmente, all’estremo est del Mediterraneo gli ebrei ritrovano la quotidianità che hanno perso in Francia e potrebbero perdere in Italia. La possibilità di organizzare una festa senza dover chiedere ai vigilantes di guardare loro le spalle. In poche parole, ritrovano la sensazione di sentirsi a casa. Nulla da meravigliarsi.
L’elite della cultura italiana si è appropriata del motto #siamotutticharlie con la stessa facilità con cui ci si cambia la camicia. Quando la strage ha colpito il supermercato kosher, di scritte #siamotuttiebrei se ne sono viste davvero poche. E quasi nessuno, soprattutto nei giornaloni, ha preso carta e penna per dire che la violenza dell’estremismo islamico e l’antisemitismo crescono di pari passo. Perché sono due facce della stessa medaglia.