la Repubblica, 13 gennaio 2015
A Melfi auto premium da vendere in tutto il mondo, flessibilità in uscita e, nel caso dello stabilimento lucano, un miliardo di euro di investimenti. Questa è la strategia di Sergio Marchionne e per realizzarla assumerà mille ragazzi, anche perché «il Jobs Act mi garantisce di non accollarmi a vita il futuro occupazionale». E se riuscirà a replicare lo schema a Cassino e Mirafiori la mongolfiera degli stabilimenti italiani del gruppo tornerà a volare
Sposta la bottiglia di tè verde, inseparabile compagna delle sue conferenze stampa. L’incontro con i giornalisti è finito, c’è il tempo per tirare qualche somma. Nella sala del Cobo center di Detroit i tecnici preparano già l’incontro successivo. Sergio Marchionne si concede lo sfizio di un commento a posteriori: «Visto? Non ci credevano. Tre anni fa mi criticavano e c’è chi ha continuato a farlo anche dopo. Ma per me quei mille ragazzi che saranno assunti a Melfi sono la risposta migliore alle critiche». Anche a quelle più dure venute dalla Fiom? «Nel comunicato ho scelto di non citare i sindacati. Non ne faccio una questione personale con questo o quel sindacalista, con Landini o con altri. Questa volta parlano i fatti».
Non era facile credergli, tre anni fa, all’indomani del fallimento di Fabbrica Italia e nel cuore della polemica sindacale sugli accordi di Pomigliano. A Marchionne avevano creduto certamente i sindacati firmatari degli accordi, legando inevitabilmente al successo della strategia aziendale una parte importante del loro stesso destino. Ma gran parte dell’Italia era rimasta scettica. La stessa decisione di produrre a Melfi i due modelli che oggi spiegano il ricorso alle assunzioni era stata letta con gli occhiali del bicchiere mezzo vuoto: «Con la scusa dei nuovi modelli – s’era detto – arriva la cassa integrazione per ristrutturazione». L’uomo con il té verde ricorda quelle critiche e spiega: «Il nostro è un mestiere che ha bisogno di tempo. Io ci metto tre anni a fare un nuovo modello». Chi ha bisogno di tempo ha inevitabilmente bisogno di fiducia. Marchionne non lo dice perché preferisce evitare ulteriori spot a favore di Renzi. Ma è un fatto che nei tre anni necessari a portare sul mercato i due modelli di Melfi sono cambiati tre presidenti del Consiglio. Il primo era stato proprio Monti. Quando il professore arrivò nello stabilimento lucano per dare il via alla ristrutturazione, si disse che era una sceneggiata filogovernativa.
Ora il mercato, soprattutto quello americano, è tornato a girare per il verso giusto. E pare premiare proprio la nuova strategia di Marchionne, quella di realizzare in Italia auto di buon valore aggiunto per poter essere vendute in tutto il mondo ammortizzando i costi di trasporto. Il principio vale per tutti i modelli, dalle Maserati di lusso alla Renegade, la più piccola delle Jeep. Per questo può accadere che la ripresa americana cominci a gonfiare anche la mongolfiera afflosciata degli stabilimenti italiani di Fca, fino a ieri regno della cassa integrazione.
Questa volta le tessere della strategia di Marchionne sem- brano andare ciascuna al loro posto. E anche la Fiom, pur mantenendo riserve sul futuro degli altri stabilimenti, definisce «una buona notizia» le assunzioni di Melfi. Il resto lo hanno fatto le garanzie per le imprese contenute nel Jobs Act. Proprio quelle norme contestate dai sindacati perché rendono più semplici i licenziamenti. Concetto duro che, impugnando la bottiglietta di plastica, Marchionne racconta in altro modo: «Io non assumo la gente per licenziarla. La assumo perché ne ho bisogno per produrre. Ma non posso accollarmi a vita la responsabilità del loro futuro occupazionale. Il Jobs Act mi garantisce che un giorno, se dovessi farlo e mi auguro di no, le conseguenze sociali di una ristrutturazione non ricadrebbero solo sull’impresa o sui dipendenti».
Ecco dunque gli ingredienti del modello Melfi: auto premium da vendere in tutto il mondo, flessibilità in uscita e, nel caso dello stabilimento lucano, un miliardo di euro di investimenti. Se Marchionne riuscirà a replicare lo schema a Cassino e Mirafiori con il lancio dei nuovi modelli Alfa, la mongolfiera degli stabilimenti italiani del gruppo tornerà a volare. E questo, in ultima istanza il lavoro di decine di migliaia di famiglie, dovrebbe essere il principale criterio di valutazione anche per quella sinistra che finora ha sempre incalzato, senza sconti, l’ad del Lingotto.