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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

«Vi prometto che la Croazia sarà un Paese prospero e ricco, uno dei Paesi più sviluppati dell’Unione Europea e del mondo». Kolinda Grabar-Kitarovic è stata eletta presidente della Repubblica croata. Ha 46 anni, una laurea in lingue, due figli che studiano all’estero. Ha detto che, se fossero gay, «non sarebbe un problema», non ha escluso la possibilità di usare la marijuana a scopi terapeutici e infine, pur convintamente cattolica, ha dichiarato il suo rispetto nei confronti delle donne che scelgono di abortire

Da domenica la signora Grabar-Kitarovic è entrata nella storia: è la prima donna eletta a suffragio universale alla carica più alta dello Stato, quella di presidente della Repubblica croata. Ha battuto al fotofinish il rivale e presidente uscente Ivo Josipovic, che evidentemente è stato bocciato sull’onda del malcontento popolare provocato dalla crisi economica che sta funestando il Paese. Un Paese che per sopravvivere si appoggia con ostinazione al sostegno offerto dall’Europa unita: la Croazia è in recessione da sei anni con una disoccupazione al venti per cento e un debito pubblico all’ottanta per cento del Pil.
Vittoria per un soffio
Le promesse di Kolinda Grabar-Kitarovic erano forse esagerate. Eppure – anche se solo di un soffio, con il 50,7 per cento dei voti – ce l’ha fatta. «Vi prometto che la Croazia sarà un Paese prospero e ricco, uno dei Paesi più sviluppati dell’Unione Europea e del mondo», aveva trovato il coraggio di dire Kolinda Grabar-Kitarovic, ex ministro degli Esteri con un premier, Ivo Sanader, oggi in carcere per corruzione, poi nominata ambasciatore a Washington e infine segretario aggiunto della Nato. E ieri le sue prime parole sono state un appello all’unità: «Uniamo il nostro patriottismo, il nostro amore, la nostra fede nella Croazia e portiamola fuori dalla crisi, verso il benessere».
Nata a Fiume nel fatidico 1968, laureata in lingue con un master in relazioni internazionali, cattolica e conservatrice, madre di due figli che studiano all’estero, la signora milita nell’Hdz oggi all’opposizione, lo storico partito di Tudjman, il fondatore della Croazia indipendente. Uno schieramento della destra moderata accusato di essere eccessivamente nazionalista.
Di larghe vedute
«Patriottismo e rispetto dei valori tradizionali» è lo slogan della neo-presidente: uno slogan che sembra contenere tutto e il contrario di tutto. Nel suo discorso della vittoria ieri, Kolinda si è infatti dimostrata aperturista e super partes: ha detto che, se suo figlio fosse gay, «non sarebbe un problema»; non ha escluso la possibilità di usare la marijuana a scopi terapeutici; e infine, pur convintamente cattolica, ha dichiarato il suo rispetto nei confronti delle donne che scelgono di abortire. Posizione significativamente pragmatica e audace in un Paese a forte maggioranza cattolica.
Coabitazione complicata
Certo è che la presidente, espressa da uno schieramento politico opposto rispetto a quello di governo, cioè i socialdemocratici dell’Sdp che le sono palesemente ostili, non avrà vita facile. Il tempo la incalza: la signora ha davanti a sé un anno prima che il Paese vada alle urne per le elezioni legislative previste a fine 2015: riuscirà il suo partito a guadagnare la maggioranza? Nel frattempo sarà una coabitazione complicata quella tra il primo ministro socialdemocratico Zoran Milanovic, notoriamente scontroso, e la nuova presidente impegnata a imporsi sulla scena politica croata da cui è assente da quasi sette anni, trascorsi fra Washington e Bruxelles.
Il sostegno degli Stati Uniti
Appoggiata dagli Stati Uniti, la signora Grabar-Kitarovic lascia presagire uno stile presidenziale più dinamico e operativo rispetto ai suoi tre predecessori: questo nonostante la Costituzione del suo Paese, indipendente dal ’91, la confini a un ruolo quasi solo simbolico e di rappresentanza. La sua forte personalità già induce qualcuno a Zagabria a prefigurare per lei un avvenire da piccola Thatcher, se non da piccola Merkel, anche se i paragoni risultano fantasiosi, oltre che istituzionalmente inapplicabili. Resta il fatto che la prima carica dello Stato è stata rimessa dal popolo elettore nelle mani di una donna, in un Paese a pochi chilometri in linea d’aria dal nostro. E questa circostanza, in un’Italia le cui camere stanno per scegliere e litigiosamente votare il nuovo Presidente della Repubblica, non può non colpire e non eccitare l’immaginazione.