la Repubblica, 12 gennaio 2015
Tags : La strage di Porte de Vincenne
«La nostra squadra era divisa in due: loro hanno fatto i giornalisti io mi sono occupato della polizia. Abbiamo fatto le cose un po’ insieme, un po’ separati, perché fosse più alto l’impatto delle nostre azioni». In un video l’attentatore Amedy Coulibaly si confessa. Si rivolge direttamente ad al-Baghdadi e afferma di aver agito per conto dello Stato Islamico
Mentre la città, in strada, rialza la testa, nell’ufficio del procuratore un pugno di uomini rimane inchiodato davanti a un mare di fogli, fax, cablo provenienti da tutto il mondo. È un’inchiesta complicata quella sui tre giorni di terrore a Parigi, con il quadro che si fa sempre più confuso a mano a mano che si aggiungono nuovi elementi.
Come quando, in mattinata, su Internet compare un video in cui Amedy Coulibaly, il giovane francese di origini malesi morto durante l’assalto alla drogheria kosher alla Porte de Vincennes, rivendica l’uccisione dell’agente Clarissa Jean-Philippe, nella sparatoria di Montrouge. Anche se sono ancora in corso accertamenti, gli inquirenti propendono per l’autenticità del video. Nel filmato, il ragazzo parla con un tono ostentatamente calmo. Rivolgendosi direttamente al Califfo Al-Baghdadi, afferma di aver agito per conto dello Stato Islamico (Is), poi entra nel merito delle azioni terroristiche spiegando che il suo assalto era sincronizzato con quello dei fratelli Said e Cherif Kouachi, gli autori della strage alla redazione di Charlie Hebdo. «La nostra squadra era divisa in due: loro hanno fatto i giornalisti io mi sono occupato della polizia. Abbiamo fatto le cose un po’ insieme, un po’ separati, perché fosse più alto l’impatto delle nostre azioni», dice. Coulibaly rivela poi di aver «versato diverse migliaia di euro ai Kouachi, per aiutarli nell’operazione».
Il video è importante non tanto per la rivendicazione in sé. Quanto per gli altri elementi che introduce. Il primo, il più rilevante è quello relativo a un ipotetico complice. Quelle immagini, sette minuti girati in più riprese e grossolanamente montati, sono state postate quasi due giorni dopo la morte dell’attentatore. Che dunque non avrebbe agito da solo.
La circostanza è decisamente inaspettata, visto che nell’abbozzare il profilo criminale di Coulibaly gli investigatori avevano parlato di un ragazzo isolato, un cane sciolto che, suggestionato dalla predicazione di un cattivo maestro, si era procurato un fucile mitragliatore al mercato nero e si era scompostamente accodato all’operazione di una cellula più strutturata, quella dei Kouachi.
Tanta era la smania di agire a ridosso del blitz a Charlie Hebdo, che – si è scoperto ieri – Coulibaly fece un primo tentativo di omicidio la sera stessa di mercoledì scorso: la polizia è infatti convinta che sia stato lui a sparare a un uomo di 32 anni che quella sera, intorno alle 20, stava facendo jogging al parco. I bossoli recuperati a terra sono compatibili con la pistola automatica Tokarev trovata dopo il blitz al negozio kosher. La vittima dell’agguato si è messa in salvo, ma è rimasta gravemente ferita e ora lotta tra la vita e la morte. Coulibaly invece ha aspettato una dozzina di ore e il giorno dopo, giovedì, è entrato in azione, a Montrouge.
Questo quadro era già stato messo in crisi dalle modalità della fuga di Hayat Boumediene, la moglie e complice di Coulibaly, accompagnata alla vigilia degli assalti, da “qualcuno”, a Madrid e fatta arrivare in Siria passando per Istanbul, attraverso il corridoio dei foreign fighters. Ora, la presenza di un altro complice e il riferimento – credibile – ai soldi versati ai Kouachi, fa definitivamente franare l’impostazione iniziale: l’azione di Coulibaly era più preparata e organica al progetto, di quanto non sembrasse inizialmente.
A conferma di ciò, c’è anche un’altra circostanza: sabato pomeriggio la polizia giudiziaria francese ha trovato il covo dove il ragazzo ha vissuto dal 4 gennaio al giorno della sua morte, un appartamentino a Gentilly, sud di Parigi, due passi dalla sua abitazione ufficiale. Dentro, gli agenti hanno sequestrato un arsenale: un numero imprecisato di mitragliatori, pistole automatiche Tokarev, gas lacrimogeni, un gilet tattico, un lampeggiante e un binocolo militare, della dinamite (tanto che è stato evacuato il palazzo), alcuni detonatori, documenti falsi, denaro in contante e bandiere dell’Is.
Se, a quell’appartamento avesse accesso solo Coulibaly o anche i fratelli Kouachi (nella loro macchina è stato trovato un armamentario simile) è una delle domande che gli inquirenti si stanno facendo in queste ore. L’altra è se davvero Coulibaly era in contatto con l’Is. «Anche se questo ci interessa di meno – spiega un investigatore – perché per quanto ci riguarda è chiaro che non siamo di fronte a un accordo tra Is e Al Qaeda ma ad un patto tra jihadisti francesi e jihadisti francesi».
D’altra parte, non è l’ombra dell’Is a preoccupare. Quanto quella dei terroristi di Al Qaeda nello Yemen, l’Aqap (l’acronimo di Al Qaida nella penisola araba). È cosa nota che il “mercato” dei foreign fighters sia in mano loro. Per questo in molti restano perplessi di fronte alle parole del ministro della Giustizia americano Eric Holder quando afferma che non «ci sono notizie affidabili circa un coinvolgimento di Al Qaeda» nell’assalto a Charlie Hebdo. Poche ore prima di quella dichiarazione, era arrivata la prima conferma ufficiale della presenza nei campi di addestramento yemeniti di Said e Cherif Kouachi. Funzionari locali hanno spiegato che i due sono stati addestrati all’uso delle armi nei deserti di Marib, nota roccaforte qaedista. «Sono arrivati il 25 luglio del 2011 passando per l’Oman. L’addestramento è durato in tutto due settimane. In quell’occasione, nella zona di Wadi Abida, hanno incontrato Al Awlaki (figura di spicco di Aqap, erede designato di Bin Laden, e per questo ucciso dagli americani proprio nel 2011, ndr). E lì hanno imparato a usare il kalashnikov». Le fonti hanno anche parlato della facilità con cui i due sono arrivati e, il 15 agosto 2011 sono tornati, attraverso l’Oman, in Francia. Un viaggio che a quanto pare negli anni successivi hanno ripetuto molte altre volte.