Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 12 Lunedì calendario

Il Pallone d’oro a un portiere? È dal 1963 che un guardiano di rete non vince l’ambito premio. Non ci sono riusciti né Dino Zoff né Sepp Maier, né Gordon Banks né Gigi Buffon. Ma Neuer ce la farà a battere Messi e Ronaldo?

Se oggi vincerà Manuel Neuer, non sarà premiato un semplice portiere ma uno straordinario, e riuscito, esperimento scientifico. Materiale da Nobel più che da Pallone d’oro, il tedesco non è il Numero Uno come lo abbiamo sempre conosciuto e tantomeno come lo era Lev Jascin quando vinceva il trofeo nel 1963. 
All’epoca chi avrebbe mai immaginato che nessun altro guardiano della rete avrebbe più vinto? Non ci sono riusciti né Dino Zoff né Sepp Maier, né Gordon Banks né Gigi Buffon. Fenomeni – gli italiani arrivarono pure secondi dietro Cruijff (1973) e Fabio Cannavaro (2006) – ma alla fine, dopo il Ragno Nero nero russo, tutti hanno avuto i guanti piegati dai giocatori di movimento. 
Movimento, appunto. È qui che si fonda la rivoluzione di Neuer, il quale per lanciare la sfida finale agli altri tre ruoli del giuoco del calcio ha deciso di usare le loro stesse armi. Il portiere del Bayern Monaco e della nazionale tedesca campione del mondo, oltre a parare l’impossibile con talento e senso del piazzamento fuori standard (riguardate i suoi numeri al Mondiale contro l’Algeria o lo straordinario doppio intervento contro il Brasile in semifinale), ha infatti inserito nel kit del perfetto «goalkeeper» ciò che, per Dna, era sempre sembrato non appartenergli. 
Non il semplice giocare bene con i piedi, requisito indispensabile da quando nel 1992 al portiere è stato vietato prendere la palla con le mani su retropassaggio. E neanche la capacità di uscire con tempismo da «libero aggiunto», anche se pure l’uomo di Gelsenkirchen è unico, capace com’è di spingersi quasi a metà campo. Neuer va oltre, gioca la palla, si muove, spazia, non teme di abbandonare i propri confini per esplorare l’ignoto: se il Subbuteo avesse avuto lui come modello, l’asta del portiere sarebbe lunga come una mazza da golf. 
Il Nostro rappresenta bene quello che tutti gli allenatori dicono da sempre: il portiere è il primo attaccante. Con quei piedi buoni impiantati su un corpaccione di titanio alto 193 centimetri e pesante 92 chili, il tedesco sa passare palla sul breve, sa lanciare lungo al millimetro con la precisione di un Pirlo e occasionalmente, quando l’estro e un certa ubris lo titillano, persino dribblare. Partecipa al gioco, insomma, e ad esso, perfettamente funzionale ai sistemi di Guardiola nel Bayern e di Löw con la Germania, è indispensabile anche quando non para, per utilità tattica e presenza scenica. Copernico coi guanti, il primo portiere totale della storia. 
Sembrerebbe abbastanza per trionfare oggi a Zurigo, non fosse che in finale con lui – sottoposti al voto di 416 giurati (208 tra c.t. e capitani di nazionali e 208 giornalisti di tutto il mondo) – ci sono Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. 
Il primo è il re dei Palloni d’oro (4), ma non mette sul tavolo né titoli nel 2014 né performance degne degli altri due. Il secondo (che di Palloni ne ha vinti due) è il detentore. E probabilmente il favorito: nel 2014 ha vinto più titoli di Neuer (4-3); al Mondiale del tedesco oppone la trionfale Champions League con 17 gol segnati; da quando è al Real Madrid, nel 2009, viaggia a una media di 50,3 gol a stagione, in questa è già a 33 e in totale è a 285 reti, mai inutili, in 273 partite. 
Se i gol segnati emozionano ancora più di quelli negati, tra i due non c’è partita. Se invece l’evoluzione della specie calcistica vi appassiona più dell’arte della creazione, allora tutto cambia. È un bel dilemma. Poi magari vince Messi. Ma stavolta – lo diciamo forte – sarebbe un’ingiustizia.