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 2015  gennaio 12 Lunedì calendario

Tito Boeri si ritrova alla guida di un Inps in pessime condizioni. Conti in perdita da due anni, debiti verso lo Stato quasi raddoppiati e patrimonio ridotto al lumicino per il micidiale effetto dell’incorporazione dell’Inpdap. Dalle casse pubbliche 98 miliardi ogni anno: ogni contribuente ha sulle spalle una pensione non sua

Conti in perdita da due anni, debiti verso lo Stato quasi raddoppiati e patrimonio ridotto al lumicino per il micidiale effetto dell’incorporazione dell’Inpdap. Sempre più soldi – quasi 100 miliardi di euro all’anno, ormai – ottenuti dal bilancio dello Stato come «trasferimenti». Mentre le entrate da contributi previdenziali diminuiscono, le spese per prestazioni temporanee come la malattia aumentano. E ogni lavoratore ha sulle spalle almeno una pensione non propria: ogni 126 assegni pagati ci sono infatti 100 contribuenti.
È questo il difficile quadro economico-finanziario dell’Inps che aspetta Tito Boeri. La nomina natalizia dell’economista, destinato a prendere le redini dell’istituto di previdenza fra poche settimane, arriva dopo le dimissioni forzate di Antonio Mastrapasqua, in febbraio, e l’incarico di commissario a Tiziano Treu, in ottobre. Oltre alla possibile riforma previdenziale (magari con il ricalcolo contributivo delle vecchie pensioni, come propose), Boeri dovrà affrontare gli squilibri di bilancio.
I nodi
Ecco i nodi principali dell’Inps, come emergono dai rapporti annuali del 2010-2013. Per il 2014 ci sono solo dati previsionali, ma elaborati dall’Inps a inizio anno su ottimistiche prospettive di crescita del Pil e dell’inflazione che non si sono verificate. Non sono stati perciò presi in considerazione, se non per la tendenza: all’Inps continueranno a essere più le uscite – 324 miliardi attesi nel 2014, 328 nel 2015, 333 nel 2016 – che le entrate correnti, stimate rispettivamente in 313, 319, 324 miliardi nello scenario migliore.
«Secondo l’ultimo rapporto annuale (del 2013, ndr. ) l’Inps ha un rosso di quasi 10 miliardi e per finanziarsi ha bisogno di 100 miliardi di trasferimenti dallo Stato all’anno – dice Stefano Caselli, prorettore dell’Università Bocconi (dove anche Boeri insegna), che ha analizzato i conti per Corriere Economia —. L’acquisizione dell’Inpdap, nel 2012, le ha dato il colpo di grazia: raddoppiati i debiti con lo Stato, dimezzato il patrimonio netto. Non è un impatto temporaneo». Se le pensioni continueranno a salire, due le strade: «O lo Stato e i contribuenti mettono mano al portafoglio, finanziando le maggiori uscite, o si riducono le spese». Come? «Per non tagliare le pensioni, una via è il controllo rigoroso delle spese per malattia, per esempio. Pesano molto. Eclatante il caso recente dei vigili a Roma».
Nel 2013 l’Inps (vedi tabella) ha avuto un saldo di bilancio negativo per 9,875 miliardi, l’anno precedente per 8,99. È qui l’effetto Inpdap. Prima che l’Inps incorporasse l’Istituto di previdenza dei lavoratori pubblici, infatti, il suo saldo entrate-uscite era positivo, benché in calo (831 milioni nel 2011, 1,4 miliardi nel 2010). Ma il 2012 è l’anno della svolta (in peggio) anche per i debiti verso lo Stato, che con l’Inpdap in pancia quasi raddoppiano a 92,6 miliardi; e anche per il patrimonio netto, che si riduce a un sesto, 7,5 miliardi (per il 2014 è previsto azzerarsi, salvo interventi straordinari). «La gestione finanziaria dell’Inpdap evidentemente nascondeva problemi», dice Caselli. Quanto ai debiti dell’Inps verso lo Stato, si tratta di anticipazioni (di tesoreria o altro): «L’Inps usa lo Stato come una banca», dice il professore.
Lo Stato-banca
Nel 2013 le entrate correnti dell’Inps sono salite a 312 miliardi e crescono dal 2010. Tutto bene? No, perché l’incremento non è dovuto ai maggiori contributi versati da chi dovrà avere la pensione (che scendono nel 2013 a 209 miliardi, dai 210 del 2012), bensì ai maggiori trasferimenti pubblici: «Soldi secchi che lo Stato dà all’Inps», dice Caselli. Sono aumentati a 98,4 miliardi (quasi 100, appunto) dagli 84 del 2010: 14 miliardi in più in quattro anni.
E le uscite? Le spese correnti sono cresciute a 322,2 miliardi: +40%, 91 miliardi in quattro anni. Anche qui, effetto Inpdap: nel solo 2011-2012 sono infatti salite di 78 miliardi.
In queste spese correnti ci sono tre voci. Primo, le pensioni: la fetta maggiore. Sono salite nel 2013 a 266,9 miliardi di euro, il doppio del 2010. Secondo, le «prestazioni economiche temporanee». Sono i soldi spesi per malattia, maternità, Tfr pubblici: 36,3 miliardi. Terzo, «altri interventi» e qui ci sono le pensioni sociali: 15,8 miliardi. In tutto queste ultime due voci di spesa valgono 52 miliardi. «Un’enormità – dice Caselli —. Qui si può intervenire per riequilibrare i conti, per esempio con più controlli su malattia e pensioni sociali». L’idea è «separare meglio la gestione previdenziale da quella assistenziale». L’altro suggerimento è aumentare le entrate, diversificando: «L’Inps ha una banca dati eccezionale, potrebbe usarla per vendere prodotti correlati, come assicurazioni sulla vita, costituendo un intermediario finanziario», dice Caselli. Proposta «futuribile», ammette il professore. Che si chiede anche come sia gestita la cassa liquida dell’Inps. È di 26 miliardi, un tesoretto. Perché? E che farne?