Corriere Economia, 12 gennaio 2015
Quanto ci costano quelle aziende pubbliche che tanto pubbliche non sono? Nell’elenco della Gazzetta Ufficiale ad esempio appare il Gestore dei servizi energetici ma è stata cancellata Expo 2015. C’è Lombardia Informatica ma non la laziale Lait. La schizofrenia della pubblica amministrazione
Per Nando Pasquali, da nove anni sul ponte di comando del Gestore dei servizi energetici, la sorpresina del 2015 è in una lista sterminata comparsa sulla Gazzetta Ufficiale quasi quattro mesi fa. Dove compare per la prima volta pure il gruppo pubblico da lui amministrato, proliferato per paradosso in seguito alla privatizzazione e liberalizzazione dell’energia, e che dal 2006 ha raggiunto dimensioni mastodontiche: con dipendenti passati da 364 a 1.277. Ebbene dal primo gennaio anche il Gse, per essere in quell’elenco, fa parte delle pubbliche amministrazioni che concorrono al conto economico consolidato statale. Ciò comporta l’osservanza di regole di particolare rigore su retribuzioni, assunzioni e anche consulenze: che nel 2013 il gruppo ha distribuito nella misura di 16,8 milioni, con un aumento di 3,6 milioni rispetto al 2012. Più 27,3 per cento.
Pasquali si può parzialmente consolare pensando di non essere stato l’unico a finire in quell’elenco. Condivide medesima sorte la Consip, società incaricata degli acquisti collettivi della pubblica amministrazione i cui compiti dal primo gennaio si dovrebbero estendere in misura rilevante. Così come la Sogei, la società pubblica che ha la delicatissima mansione di gestire l’anagrafe tributaria. Ma anche la Sose, altra spa controllata dal Tesoro che elabora, fra l’altro, gli studi di settore. E poi Armamenti e aerospazio, scatola dov’erano state stivate le partite incagliate dell’Efim dopo che la Finmeccanica aveva assorbito le attività di quell’ente disastrato.
Decisioni che non fanno una piega: nel conto consolidato dello Stato non possono che esserci tutte le società pubbliche. Proprio qui, però, c’è una sorpresa nella sorpresa. Perché tutte non ci sono. Nell’elenco, per esempio, figura anche Expo 2015. O meglio, figurava. Perché un emendamento alla legge di Stabilità l’ha esclusa da quella lista per tutto l’anno in corso «in considerazione», c’è scritto, «del suo scopo sociale». Anche se qui le motivazioni reali sono forse un po’ diverse, considerando i ritardi che l’Expo milanese ha già accumulato.
Un altro esempio? Per la prima volta la lista comprende le federazioni sportive. Finalmente. Peccato che manchi forse la più importante di tutte, per un Paese come il nostro: la Federcalcio. Un bel regalino per il nuovo presidente Carlo Tavecchio. Il quale non è il solo a dover ringraziare la manina che l’ha graziosamente salvato dall’elenco di chi deve rispettare i principi più rigidi a cui si devono attenere le pubbliche amministrazioni, e in molti casi francamente non se ne comprende la ragione.
Per quale motivo hanno messo la società statale che si occupa degli acquisti, ossia la Consip, e hanno invece escluso alcune società regionali che operano nello stesso campo? Come Arca, l’Azienda regionale centrale acquisti della Lombardia, oppure la Soresa, Società regionale per la sanità della Campania… Mentre altre società regionali invece sono state inserite nell’elenco, e lo dimostra il caso della Scr Piemonte. E perché nella lista figurano, anche in questo caso per la prima volta, alcune imprese pubbliche locali del settore informatico, ma soltanto alcune? C’è Lombardia Informatica, della Regione Lombardia guidata dal leghista Roberto Maroni, il cui consiglio di sorveglianza è presieduto dall’assessore regionale ed ex parlamentare del Carroccio Massimo Garavaglia.
Manca invece Lait, la Lazio innovazione tecnologica controllata dalla Regione presieduta dal democratico Nicola Zingaretti. C’è la Insiel della Regione Friuli-Venezia Giulia amministrata da Debora Serracchiani, anche lei democratica. E non c’è Informatica Trentina della Provincia autonoma guidata dalla giunta di centrosinistra di Ugo Rossi… Sbadataggini, amnesie o che altro?