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 2015  gennaio 09 Venerdì calendario

L’Arabia Saudita è pronta a tagliare la produzione del petrolio. Secondo Merryl Lynch, i regnanti di Riad si sarebbero decisi a cambiare politica e pilotare i prezzi del greggio verso il rialzo, altrimenti dovranno rinunciare ai programmi di sviluppo

L’Arabia Saudita, proprio il Paese a cui tutta l’Opec ha guardato finora invano perché tagliasse la produzione per rialzare il prezzo del greggio, non ha retto allo stress-test. Ora che il Brent è crollato a 50 dollari, il livello più basso dal 2009, dopo che fino a settembre viaggiava costante intorno a 100, i regnanti di Riad si sarebbero decisi a cambiare politica e pilotare i prezzi verso il rialzo. Ne è sicura la Merrill Lynch, che in un report pubblicato ieri mattina per la prima volta dipinge il nuovo scenario: i prezzi avrebbero toccato il fondo, e i sauditi per primi vogliono ora farli risalire. Sarà un caso, ma ieri pomeriggio il Brent, che era sceso fino a 49 dollari in apertura di seduta, ha ripreso quota e ha chiuso a quasi 52 dollari. La previsione formulata dalla banca d’investimenti è che il regno tagli da 11 a 9,7 milioni di barili al giorno la produzione in tempi rapidi. Il changeover, il passaggio strutturale dall’epoca del caro-petrolio a quello del greggio lowcost, torna insomma in discussione. I sauditi si sarebbero accorti che con valori troppo bassi non riescono a finanziare i loro programmi di sviluppo, a meno di intaccare pesantemente le riserve in valuta. «Solo un petrolio a 90 dollari potrebbe tutelare il livello delle riserve monetarie da qui al 2025», scrive la Merrill Lynch. L’alternativa è che Riad mantenga immutate le spese sui livelli del 2013, il che contraddice i programmi di sviluppo. «Il deterioramento delle condizioni finanziarie con un greggio a 50 dollari potrebbe essere compensato solo con una serie di dolorosi aggiustamenti e manovre fiscali». Uno “scenario-Italia” dal quale i sauditi vogliono tenersi bene alla larga.
Jean-Michel Saliba, l’economista della Merrill Lynch di origini arabe che da Londra coordina le analisi sul Medio Oriente, è andato a spulciarsi i bilanci di previsione di Riad per il 2015 e ha scoperto che nei calcoli sauditi già con un petrolio a 75 dollari il rapporto deficit/Pil schizzerà al 9% dal 4% del 2014, e con una quotazione di 50 arriverebbe al 20%. E tutto questo solo a patto che non salgano le spese correnti. Per un Paese che ha conosciuto in passato le angustie di alti deficit è un’impennata intollerabile. Identico discorso per il debito pubblico, che l’Arabia Saudita è riuscita a contenere nell’invidiabile livello dell’1,6% del Pil (da un picco del 102% nel 1998) e che schizzerebbe anch’esso subito. «Gli scenari simulati dimostrano che gli squilibri macroeconomici crescerebbero rapidamente a meno di aggiustamenti fiscali». Di qui la decisione di invertire la tendenza. Non sarà questione di giorni, ovviamente. Secondo la Merrill Lynch per i sauditi sarebbe per ora sufficiente riportare le quotazioni in tempi rapidi a 60-65 dollari, per poi farle risalire almeno a 70, il livello del pareggio di bilancio. Ma Riad vuole andare oltre: «Solo un greggio a 90 dollari permetterebbe al regno di salvaguardare i livelli delle riserve valutarie e di impostare programmi d’investimento», scrive l’analista. «Viceversa se si andrà avanti ai valori attuali, le riserve saranno completamente esaurite entro il 2023 e il debito pubblico supererà il 40% anche senza spese ulteriori». Di più: «Anche con il greggio a 70 dollari i depositi governativi finirebbero nel 2026». Insomma ce n’è abbastanza per dire basta ai prezzi attuali.