la Repubblica, 9 gennaio 2015
L’avanzata di Boko Haram. Si parla di duemila morti e sedici villaggi distrutti: «Sono fuggito con la mia auto appena ho visto come i ribelli stavano ammazzando la gente... i corpi in strada, donne e bambini, i feriti che urlavano chiedendo aiuto»
Il fuoco e i kalashnikov, i kalashnikov e il fuoco. «I morti saranno duemila», dice alla Bbc l’ufficiale governativo nigeriano Musa Alkaji Bukar raccontando il lento, metodico massacro che i miliziani islamisti di Boko Haram hanno appena commesso tra le baracche di Baga e in altri quindici villaggi, nell’estremo Nord del Paese, sulle rive del lago Chad. I morti sono «centinaia», secondo fonti più prudenti. I ribelli hanno inseguito e ucciso gli uomini, le donne e persino i bambini, colpendo tutti quelli che non hanno fatto in tempo a fuggire verso la capitale distrettuale Maiduguri o tra le acque del lago, per nascondersi nella miriade di isolette che sono un rifugio, sì, ma anche una trappola.
Sabato i ribelli di Boko Haram avevano attaccato la guarnigione locale lasciata a vigilare la base avanzata dell’esercito interforze che avrebbe dovuto sconfiggerli, e che non è praticamente mai nata. Ieri hanno finito il lavoro radendo al suolo sedici villaggi tra cui Baga. Musulmani i carnefici e musulmane le vittime: Boko Haram vuole creare un califfato ispirato a quello dell’Is, seduto nel nordest della Nigeria e nelle provincie di confine di Camerun e Chad, e spazza via chiunque non aderisca al progetto.
Quella povera gente che provava chissà come a vivere sulle rive di un lago che sta morendo – profondo ormai poco più di un metro per abbeverare come può il deserto del Sahel – il fuoco e i kalashnikov li conosceva fin troppo bene: ad aprile del 2013, quando al governo di Abuja faceva comodo mostrare il volto duro della repressione, l’esercito lanciò una controffensiva nello stato del Borno penetrando fino a Baga, una «roccaforte di Boko Haram». Gli attivisti che difendono quel che resta dei diritti umani contarono 185 morti in una città distrutta dal fuoco, stanati con le fiamme e ammazzati dai kalashnikov, e mostrarono anche le donne e i bambini allineati nelle fosse comuni. I giornali pubblicarono le fotografie delle case bruciate, raccontando una caccia all’uomo andata oltre i limiti dell’orrore. Oggi, i superstiti che hanno ricostruito le loro baracche sono morti o sono fuggiti sotto i colpi dei ricercati di allora. Baga «aveva una popolazione di diecimila persone», ma oggi «non esiste più», dice l’ufficiale Musa Bukar.
Il capo del distretto, Abba Hassan, parla di «almeno cento morti», e ha visto poco: «Sono fuggito con la mia auto appena ho visto come i ribelli di Boko Haram stavano ammazzando la gente... i corpi in strada, donne e bambini, i feriti che urlavano chiedendo aiuto». Le prime immagini mostrano sopravvissuti in fuga lungo le strade polverose della savana. Altre immagini, invece, mostrano il presidente nigeriano Goodluck Jonathan circondato dalla folla ad Abuja, dove ieri ha lanciato la sua campagna elettorale. Tra cinque settimane si vota, e saranno le elezioni più tese e combattute dal 1999, quando finì la dittatura.
Jonathan chiede di essere rieletto, ma il Paese più popoloso dell’Africa è in perenne subbuglio, spaccato tra il nord islamico e il sud cattolico, terrorizzato da Boko Haram, sfruttato dall’Occidente, corrotto e inquinato dai dollari del petrolio. E in questo carrozzone elettorale il nordest è abbandonato alla follia islamista di Abubakar Shekau, il leader di Boko Haram che in questi anni ha massacrato migliaia di persone, bombardato e bruciato chiese, rapito migliaia di persone e devastato ogni villaggio che non si sia prostrato al suo comando. A maggio, a Parigi, il mondo occidentale scioccato dal rapimento delle studentesse gli dichiarò guerra. I capi di Stato di cinque Paesi africani si riunirono insieme a Hollande e agli inviati di Usa e Ue, e decisero di creare un esercito comune per sconfiggere i ribelli islamisti. Ma non s’è visto nulla. E mentre la base avanzata di Baga cadeva e i villaggi bruciavano, Abubakar Shekau minacciava su Youtube il presidente del Camerun Paul Biya: «Ferma i tuoi uomini o assaggerai quanto è accaduto in Nigeria. I tuoi soldati non possono nulla contro di noi».