Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 09 Venerdì calendario

Nonostante siano stati avvistati e siano braccati da 88 mila agenti, sono ancora liberi i due killer islamisti della strage a Charlie Hebdo. I fratelli Chérif e Said Kouachi si nasconderebbero nelle campagne della Piccardia. Ritratto di una cellula terroristica «familiare». Intanto sette parenti sono in stato di fermo. Si è costituito il diciottenne, presunto complice, ma ha un alibi

Il meglio dai giornali di oggi sulla caccia ai due presunti killer che hanno ucciso 12 persone nella redazione di Charlie Hebdo.

È caccia senza tregua ai fratelli Chérif e Said Kouachi, i due uomini più ricercati di Francia, autori della strage a Charlie Hebdo che ha causato 12 vittime, con ottantottomila uomini tra poliziotti, gendarmi e militari mobilitati nel Nord Est del Paese, a una settantina di chilometri da Parigi, in Piccardia. I trecento paesani stanno barricati in casa, così ha ordinato la polizia, fra Crepy en Valois e Corchy, tredicimila ettari di campagne che i reparti speciali stanno battendo palmo a palmo, con un senso crescente di impotenza. Mentre l’intera Francia ha celebrato nel raccoglimento il lutto nazionale decretato dal presidente François Hollande [Paolo Levi, Sta].

«Said Kouachi è stato formalmente riconosciuto da più testimoni come aggressore materiale» ha detto ministro dell’Interno francese Bernard Cazenueve. Il più vecchio dei fratelli Kouachi non è mai stato accusato o condannato per atti di terrorismo, ma è apparso «ai margini» delle inchieste francesi che hanno visto coinvolto il secondogenito Chérif, l’aspirante jihadista ben noto alle forze dell’ordine. Secondo il New York Times invece Said sarebbe stato anche lui un militante di primo piano, essendo stato addestrato nei campi di al Qaeda in Yemen. Entrambi «violentemente antisemiti», erano stati oggetto di stretta sorveglianza, ma nessun «elemento incriminante» era emerso su di loro negli ultimi due anni, nonostante fossero stati messi sulla no-fly list degli Usa [Marco Imarisio, Cds]

Nessuna parola di Cazeneuve sulla sorte del giovane Mourad Hamyd, che per un’intera giornata è stato considerato il terzo uomo del commando. La scorsa notte si è presentato di sua volontà al commissariato di Charleville-Mézières, nelle Ardenne, dove vivono i suoi genitori. Con sé ha portato un alibi che in caso di conferma esporrebbe gli investigatori a una discreta figuraccia: all’ora dell’attentato si trovava a scuola, in un’altra città [Marco Imarisio, Cds].

I familiari di Said e Chérif Kouachi sono quasi tutti in stato di fermo, ha detto il ministro, lasciando intendere che si tratta di un modo per mettere pressione sui fuggitivi. Erano loro le abitazioni perquisite la scorsa notte a Reims senza grandi riscontri [Marco Moussanet, S24].

All’alba di ieri la caccia è ripresa in direzione nord, subito dopo la telefonata del benzinaio della stazione di servizio Avia sulla strada nazionale 2, appena dopo il villaggio di Crépy-en-Valois, 60 chilometri da Parigi e duemila abitanti nel dipartimento dell’Aisne, in Piccardia. Il commerciante ha affermato di aver riconosciuto i due fratelli negli uomini che stavano cercando di fare rifornimento a sbafo, di aver anche intravisto, particolare dirimente, dei kalashnikov adagiati sui sedili posteriori della vettura. La conferma è arrivata dalle immagini riprese dalla telecamera di sorveglianza del distributore [Nino Cirillo, Mes].

Dal distributore di benzina Avia ai primi boschi “sensibili” ci sono 12 chilometri di asfalto a scorrimento veloce. Si esce dalla strada nazionale 2, si prende una stradina di campagna che costeggia il centro abitato di Villers-Cotterets e si arriva alla fattoria. È un casale degradato a mattoni rossi, l’erba alta intorno con l’aia delimitata dalle strisce della polizia scientifica. La Clio grigia l’hanno mollata in uno sterrato a cinque minuti da qui. Muso ammaccato, targa coperta. Una traccia da seguire [Paolo Berizzi, Rep].

Le ricerche sono ripartite in quel momento, una battuta di caccia nei boschi che sta coprendo un’area di venti chilometri in lunghezza e dieci di larghezza, estesa nella notte anche alla foresta di Retz, alla quale prendono parte elicotteri a raggi infrarossi, brigate e corpi speciali di ogni genere, per un totale di 20.000 uomini dispiegati sul campo in assetto di guerra, da sommare agli altri 68.000 che nel resto della Francia stanno braccando i due fratelli [Marco Imarisio, Cds].

Alla fine della giornata, la caccia è sospesa, gli agenti ricevono l’ordine di interrompere le ricerche nella foresta e di ritirarsi. Poi però, nella notte, dagli Stati Uniti la rete televisiva Cnn lancia la notizia: i due sarebbero stati avvistati dagli elicotteri. Se un’indagine così convulsa e confusa fosse stata condotta da noi in Italia saremmo già qui a parlare di fallimento. I francesi, invece, stringono le file e vanno avanti. Il premier Valls tira le orecchie ai media di buon mattino, perché davvero ne hanno tirate fuori troppe, e una diversa dall’altra [Nino Cirillo, Mes].

Si fa fatica a seguire le voci che si accavallano da mattina a sera: alcune fuori controllo, altre verosimili, altre ancora non verificabili. Per dire: a un certo punto, sono le due del pomeriggio, agenzie e dirette televisive accendono le luci su Crepy-en-Valois. A metà strada tra Parigi e Reims. «Sono barricati dentro un appartamento, le teste di cuoio sono sul posto». Il sindaco smentisce, il ministro dell’Interno Cazeneuve non conferma. Ma ormai la ruota è partita [Paolo Berizzi, Rep].

È una «cellula familiare» di due fratelli, ma con buoni contatti con lo jihadismo internazionale. Ed è tutta francese, perché i due in Francia sono nati e cresciuti. Bisogna premettere che si sa molto di Chérif, il più giovane, 32 anni, e pochissimo del fratello Said, 34. Nelle foto diffuse dalla polizia, il maggiore è quello calvo e sbarbato, il minore quello con i capelli neri e la barba da islamista ancora poco folta. L’impressione è che Chérif sia la mente e said il braccio [Alberto Mattioli, Sta].

I fratelli del terrore sono nati a Parigi e rimasti orfani prestissimo dei genitori, immigrati algerini. Vengono allevati a Rennes, in Bretagna poi si trasferiscono a Parigi, nel Diciannovesimo arrondissement. In teoria, Chérif consegna le pizze a domicilio. In pratica, fa la malavita di troppi giovani delle banlieue: traffici, piccoli furti, spaccio di hashish. È musulmano ma, parole sue, «occasionale». «Fumava, beveva, non portava la barba e aveva anche un’amichetta», racconta oggi maître Vincent Ollivier, l’avvocato che di lì a poco lo difenderà [Alberto Mattioli, Sta].

A questo punto entra in scena il primo cattivo maestro. Si chiama Farid Benyettou, frequenta la moschea Adda’Wa di rue de Tanger ed è uno di quegli imam autoproclamati e fanatici di cui pullula il sottobosco dell’Islam francese. Banyettou indottrina Chérif, lo coinvolge nei suoi sermoni, gli legge passi del Corano. Nel quale, spiega, «si dice che è lecito imbracciare un Kalashnikov e fare fuoco contro gli infedeli». [Daniele Mastrogiacomo, Rep].

L’opera di proselitismo di Benyettou si traduce nella costruzione di una rete di aspiranti martiri per la guerra in Iraq, con annesso addestramento ideologico e pratico. La banda del Buttes Chaumont, i giornali la chiamarono così, per via delle riunioni all’aria aperta nel parco del XIX arrondissement che divide il quartiere arabo dalla zona turistica da La Villette. Il giorno fatale dovrebbe essere il 25 gennaio 2005, partenza da Parigi verso l’Iraq. I biglietti sono già pronti. Chérif viene arrestato dopo la data di partenza. È rimasto a casa, racconterà in seguito di aver mancato l’appuntamento. Il più giovane dei fratelli Kouachi perde l’aereo e forse anche la voglia, almeno in apparenza. «Al nostro primo incontro mi sembrò addirittura sollevato. Mi confessò di avere avuto una paura folle di partire per davvero dopo tante chiacchiere» dice ora l’avvocato Vincent Olliver che al processo riuscì a convincere i giudici ad attenuare la pena usando l’argomento del noviziato islamico di Kouachi, al suo debutto [Marco Imarisio, Cds].

Chérif Kouachi a un certo punto della sua giovane vita l’ha proprio dichiarato: «È scritto nei sacri testi: è bene morire da martire». Lo disse in un’intervista a France 3 nel 2005, nove anni fa, ieri ripescata e rimandata in onda. In quella stessa intervista spiegava la sua ammirazione per quell’imam e raccontava dei suoi viaggi, in Siria e in Iraq [Nino Cirillo, Mes].

Quando Chérif torna libero comincia a portare pizze a domicilio, lavora al mercato del pesce, in un magazzino. La polizia sospetta che sia coinvolto nella liberazione di Smain Ait Alì Belkacem, mente degli attentati del 1995 in Francia rivendicati del Gia algerino. Lo ferma ma lo rilascia: non ci sono prove. Lo controlla. A distanza. Come tanti. Per l’Fbi i due fratelli stavano nella “no fly list”. Chérif fa parte di quei 185 francesi, su 1.200, che sono rientrati dalla Siria. Pieni di rabbia e di violenza [Daniele Mastrogiacomo, Rep].

Nel 2010 il nome di Chérif Kouachi spunta spesso nelle conversazioni intercettate di Djamel Beghal, condannato cinque anni prima per essere stato l’ideatore di un attentato, mai realizzato, contro l’ambasciata Usa in Francia e sospettato di essere il capo di una nuova cellula jihadista. Kouachi va più volte a trovare il nuovo maestro. L’antiterrorismo lo fotografa mentre partecipa a una partita di calcio tra aspiranti martiri. La magistratura lo definisce «allievo prediletto» di Beghal, che ha preso il posto del predicatore algerino con l’unica variante della Siria al posto dell’Iraq come destinazione ultima del viaggio [Marco Imarisio, Cds].

Contemporaneamente ieri, Parigi si era nuovamente svegliata nel sangue. Poco dopo le 8 nel dipartimento Hauts-de-Seine, a ovest di Parigi, un misterioso killer – anch’egli a bordo di una Clio, bianca in questo caso – ha ucciso alle spalle una giovane vigilessa della polizia municipale, Clarissa Jean-Philippe, 25 anni, in servizio da appena 15 giorni, e ferito gravemente un collega. Mistero assoluto sulla dinamica dei fatti e sul movente. Armato fino ai denti e protetto da un giubbotto antiproiettile, l’uomo si è fatto beffa dei diecimila uomini dispiegati nella regione della capitale, dileguandosi nel nulla. Nessun legame accertato, almeno per il momento, con gli autori della strage a Charlie Hebdo [Carlo Levi, Sta].

L’uccisione della vigilessa a Montrouge spinge il ministero degli Interni a mantenere l’allerta sul livello «rischio attentati». Il piano Vigipirate – creato nel 1978 e messo in atto per la prima volta durante la guerra del Golfo nel 1991 – continua il dispiegamento di militari e poliziotti, ormai oltre 10 mila tra la capitale e le regioni verso il Nord del Paese, dove si sta concentrando la caccia ai due fratelli Kouachi [Davide Frattini, Cds].

Parigi blindata, le pattuglie in assetto di guerra, gli appelli alla vigilanza. La tensione ha causato qualche falso allarme, come nel quartiere della Défense dove gli impiegati al lavoro nei grattacieli di vetro e acciaio hanno ricevuto un’email che li avvertiva di restare negli uffici, un uomo armato era stato avvistato nella zona. Tutto sarebbe partito dal passaparola digitale, un sms via cellulare diventato vero panico. Le squadre speciali hanno comunque perquisito l’area, l’ordine è di non sottovalutare alcun pericolo [Davide Frattini, Cds].

Le Monde ha elencato ora dopo ora le segnalazioni: una borsa abbandonata a una fermata della metropolitana, uno zaino sospetto alla Gare de Lyon, sette bombole di gas scoperte nel parcheggio della stazione di Colmar, al confine con la Germania. Ovunque la stessa procedura: zona isolata, treni bloccati, passeggeri evacuati, la sacca o il pacco fatti saltare dagli artificieri [Davide Frattini, Cds].

E sempre ieri, alle dodici spaccate, la Francia sotto choc si è fermata per un minuto di silenzio in memoria delle vittime di Charlie Hebdo, con le campane a lutto di Notre-Dame, i fiori, le candele, le bandiere a mezz’asta. Tra le immagini simboliche, quella di Hollande che accoglie per la prima volta all’Eliseo il suo avversario di sempre, Nicolas Sarkozy o la Tour Eiffel oscurata per un minuto [Carlo Levi, Sta].

La tensione è altissima. La netta condanna dell’Islam francese ufficiale che rappresenta cinque milioni di persone, diffusa anche su twitter con l’hashtag #notin myname, non ha evitato un’ondata di attacchi a luoghi di culto musulmani da un capo all’altro della Francia, fortunatamente senza danni alle persone. Granate da esercitazione contro una moschea a Le Mans (Loira), pistolettate contro un’altra a Port-la-Nouvelle (Linguadoca), un ordigno contro un rivenditore di kebab di fronte a una terza a Villefranche-sur-Saone (Lione) [Alessandro Mantovani, Fat].

Il cosiddetto Stato islamico, che non ha rivendicato il massacro alla redazione di Charlie Hebdo, ha elogiato i killer che hanno assassinato 12 persone, definendoli «eroi». Questo il messaggio diffuso da una stazione radio legata al Califfato. «Jihadisti eroi hanno ucciso 12 giornalisti che lavoravano per la rivista francese Charlie Hebdo e hanno ferito altre 10 (persone) per vendicare il Profeta», ha affermato la radio Al-Bayan, considerata uno dei megafoni di Daesh (acronimo in arabo per Isis) [Marco Moussanet, S24].