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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

Ancora un morto alla Dakar, ma questa volta è giallo perché sul corpo del motociclista non è stato riscontrato alcun segno di trauma. Il polacco Hernick è stato trovato a 300 metri dalla pista di rally, in Argentina

Ancora un incidente mortale nella Dakar, il più famoso rally fuoristrada del mondo che dal 2009 si svolge in Sudamerica. La vittima è un motociclista polacco di 39 anni, Michal Hernik e l’incidente è avvenuto nella terza tappa della competizione, tra San Juan e Chilecito in Argentina. Si tratta della quinta vittima da quando la Dakar ha lasciato le sabbie del Sahara per affrontare le curve delle Ande. La dinamica dell’incidente non è ancora chiara, perché l’organizzazione del rally sostiene che il corpo di Hernik non presentava segni evidenti di un trauma.
Nato a Cracovia, il motociclista polacco partecipava alla Dakar per la prima volta, a bordo di una Ktm con il numero 82. Il suo corpo senza vita è stato avvistato da un elicottero del soccorso medico, a una distanza di circa 300 metri dalla pista, in una regione semidesertica nella provincia argentina di La Rioja.
Tra l’allarme e il ritrovamento del corpo è passato pochissimo tempo. Erano le 14.37 di martedì, quando il Gps montato sulla moto di Hernik – ce n’è uno installato su tutti i veicoli della gara – ha cessato di inviare segnali. Mezz’ora dopo, dall’arrivo era giunta la conferma che il pilota non aveva concluso la prova. Poco dopo le 16 l’elicottero dei soccorsi ha avvistato il corpo, già senza vita, e a fianco la moto e il casco.
Hernik aveva partecipato al rally del Marocco nel 2013 e in seguito alla Sfida nel Deserto di Abu Dhabi, una gara di preparazione alla prova sudamericana. Dopo le prime due tappe di questa Dakar il polacco occupava l’84esima posizione nella classifica generale.
Per il rally che un tempo prendeva il via da Parigi per arrivare nella capitale del Senegal – da cui il nome – il trasferimento in Sudamerica non sembra dunque aver risolto nessuno dei problemi di sicurezza che avevano spinto all’abbandono delle piste nel deserto (l’altra ragione furono le minacce di attentati da parte di estremisti islamici).
Nel 2009, primo anno in Argentina, morì il pilota Thierry Pascal, nel 2012 l’argentino Jorge Martinez Boero, nel 2013 il francese Thomas Bourgin e lo scorso anno il belga Eric Palante. Gli incidenti in moto sono purtroppo sempre molto simili: cadute e colpi fatali alla testa su un terreno molto accidentato e pieno di pericoli. Nell’ultima edizione persero la vita anche due giornalisti che seguivano l’evento, a causa del ribaltamento della loro jeep. In totale, da quando esiste il rally, sono morti 24 piloti, ma i decessi tra il pubblico, altri automobilisti e l’organizzazione sono addirittura una quarantina.
Alla vigilia della terza tappa, rispondendo proprio sui rischi per la sicurezza dei piloti, il francese David Castera, responsabile del tracciato, aveva detto che la Dakar cerca ogni anno di trovare nuove soluzioni «ma resta una attività ad alto rischio». E ancora: «Tentiamo sempre di trovare un percorso che contenga un’alta varietà di terreni e sfide, come dev’essere lo spirito della Dakar, ma è impossibile rendere la corsa sicura al 100 per cento. Lo scorso anno, per esempio, la morte di Eric Palante non è stata causata da un problema di sicurezza del percorso ma dalla disidratazione a causa del caldo, che ha colpito vari partecipanti».
Per ridurre i rischi di incidenti fatali ai piloti e al pubblico, l’organizzazione può contare in questa edizione su 25.000 poliziotti e sette elicotteri che fanno il controllo dettagliato del percorso prima della gara, per avvisare su possibili pericoli. Come sempre accade nella Dakar dopo ogni lutto, la gara continua. Al momento in testa al torneo riservato alle moto ci sono due spagnoli, Joan Barreda e Marc Coma. Il rally adesso passa la cordigliera andina ed entra in Cile, dove si svolgeranno cinque tappe, prima di uno sconfinamento in Bolivia e del ritorno in Argentina.
L’arrivo è previsto per il 17 gennaio a Buenos Aires.