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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

Il declino del centro commerciale negli Usa. I poveri vanno ai discount, i ricchi preferiscono i negozi o le catene chic. Un centinaio ha già chiuso o sta per farlo: pesa la crisi della famiglia media

Che fine ha fatto lo shopping mall? Tempio del consumismo, simbolo della società americana, luogo d’incontro in molte città che non hanno centri storici: Tutto questo era vero fino a ieri: oggi i centri commerciali chiudono, e c’è chi teorizza la loro estinzione. Ma non è un sintomo di crisi economica. L’America, felice eccezione mondiale, ha una crescita vigorosa, un mercato del lavoro che tira, consumi in ripresa. Lo shopping mall non è spiazzato da uno tsunami di consumo frugale, decrescita felice, o share economy (economia delle condivisione). E neppure la Rete, cioè l’avanzata delle vendite online, c’entra più di tanto. No, a svuotare i centri commerciali tradizionali sono le diseguaglianze.
Lo shopping mall tradizionale è un modello interclassista, trasversale, in una fase in cui la società americana si polarizza: da una parte i lavoratori a salario minimo, dal potere d’acquisto immobile, che vanno a fare la spesa negli ipermercati discount Costco; dall’altra i ricchi che prediligono i grandi magazzini glamour, tipo Saks Fifth Avenue. Schiacciata in mezzo c’è la formula dello shopping mall, inventata in un’epoca in cui al centro del modello sociale americano c’era una vasta middle class, inclusiva di ceto medio e classe operaia.
Nell’ultima decade, una trentina di questi shopping mall hanno chiuso.
Altri 60 potrebbero fare la stessa fine in tempi rapidi. Il fenomeno dei centri commerciali “morti” sprigiona una sorta di fascino macabro. È nato un sito specializzato per censirli, si chiama prevedibilmente www.deadmalls. com. Sul sito del New York Times un’inchiesta su questo fenomeno è illustrata da una galleria di foto dei “dead malls”: sembrano città fantasma, cattedrali nel deserto, costruzioni imponenti e spettrali. Un tempo affollati da eserciti di famigliole, coi parcheggi intasati di Suv, questi shopping mall morti o agonizzanti evocano film di fantascienza, un pianeta improvvisamente svuotato dei suoi abitanti da un attacco alieno o una catastrofe climatica. E in effetti proprio di recente Hollywood ha deciso di ambientare alcune scene del film Gone Girl in uno di questi centri fantasma. Il potere degli shopping mall sull’immaginario collettivo degli americani, è tale che l’associazione dei centri commerciali sta tentando disperatamente di contrastare la teoria del declino inesorabile. La Confindustria di categoria (Council of Shopping Centers) ha assoldato di recente la più grossa società di relazioni pubbliche, Burson-Marsteller, “per contrastare la pubblicità negativa”. Ma i dati parlano chiaro. Sui 1.200 centri commerciali censiti negli Stati Uniti, il 15% è a rischio di scomparsa perché disertato dai consumatori. Sono una minoranza, certo, ma pur sempre 180 shopping mall che potrebbero essere rasi al suolo, non più redditizi.
Le “condanne a morte” espresse dal mercato, coincidono con una chiara ripresa nella spesa di consumo delle famiglie americane. Dunque è il modello stesso del centro commerciale che perde colpi, non la grande distribuzione in generale. E per una volta il sospetto numero uno non si chiama né Amazon né Ebay. Per quanto il commercio in Rete stia conquistando sempre nuovi adepti, il fatturato complessivo delle vendite online è circa un decimo rispetto al commercio “in carne ed ossa”. Il vizio fatale nella formula dello shopping mall è proprio il fatto di essere un contenitore di catene distributive come Sears, Lord&Taylor, che si rivolgevano al- la famiglia media americana. Ma la “media” non c’è più, in un popolo di consumatori a clessidra, dove si rafforzano la parte alta e quella più bassa del potere di acquisto.
Per diverse generazioni di americani i centri commerciali sono stati non solo una comodità che semplifica la vita (tutti i negozi in un posto solo, per fare la spesa una volta alla settimana caricando il bagagliaio dell’auto), e quindi un emblema dell’American way of life, ma spesso anche l’unico luogo di “socializzazione”. È un fenomeno sul quale sono stati scritti interi saggi di sociologia urbana, come il celebre “Bowling Alone” (giocare al bowling da soli) di Robert Putnam. Paragonato a un moderno Alexis de Tocqueville, Putnam ha esplorato la società americana rivelando la decadenza dei tradizionali luoghi di vita comune. Sindacati, partiti, club e associazioni civiche, perfino le chiese hanno perso gran parte del proprio ruolo storico come centri di incontro e vita collettiva. Per molti giovani, nelle città medio-piccole dell’America profonda, lontano dalle metropoli come New York e San Francisco, lo shopping mall era rimasto l’unico posto dove “rimorchiare”, o semplicemente incontrare gli amici dopo la scuola, fare due chiacchiere, passare il tempo. Ora gli rimane Facebook.