Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

Ma in realtà non è una vera deflazione. Non c’è, in Eurolandia, una caduta generalizzata dei prezzi. È il costo dell’energia e quello degli alimentari a far scendere l’indice complessivo. I prezzi dei beni industriali sono rimasti fermi, quelli dei servizi sono saliti dell’1,2%

È deflazione? No, non è deflazione, anche se per comodità e per brevità è questa la parola che si usa. Un mese solo innanzitutto, non definisce una tendenza, ma non è questo il punto: sono molti gli analisti che prevedono un segno meno per diversi mesi.
La questione è che non è davvero deflazione. Non c’è, in Eurolandia, una caduta generalizzata dei prezzi. È il costo dell’energia e quello degli alimentari a far scendere l’indice complessivo. I prezzi dei beni industriali (escluso energia) sono rimasti fermi (-0,04%), quelli dei servizi sono saliti dell’1,2% e l’inflazione core, di fondo (che esclude energia, alimentari, alcool e tabacco) sono saliti dello 0,8%: numeri, gli ultimi tre, che coincidono con le medie del 2014 e, pur essendo molto bassi, non segnalano alcuna tendenza particolare.
Gli economisti, in modo più appropriato, parlano di variazione dei prezzi relativi. Non è un fatto ininfluente, anzi: se un pieno di benzina costa molto meno, ci sono risorse in più da destinare ad altri acquisti o ai risparmi. A parità di reddito – di Pil dunque – potrebbe aumentare la domanda per diversi settori, così come potrebbero salire i margini per le imprese che fanno ampio uso di energia.
Se la situazione restasse in questi termini, non si creerebbero dunque neanche i classici problemi generati dalla deflazione “cattiva”. Non sarebbe un problema rimborsare i debiti. Come l’inflazione – inattesa! – rende più semplice la vita ai debitori (i prezzi e i redditi salgono ma i debiti restano fermi), accade il contrario con la deflazione inattesa: occorre per esempio vendere più beni per ottenere il reddito necessario per pagare la rata di capitali e interessi. Se il problema, come oggi, è quello di una semplice variazione dei prezzi relativi, il gioco è molto più complesso, ma una fetta importante dell’economia è evidentemente aiutata da un petrolio meno caro.
Non si dovrebbe neanche creare la temuta spirale negativa dei prezzi. Durante la deflazione “cattiva”, le attese di prezzi in calo potrebbero spingere a rinviare gli acquisti più importanti: quelli di beni durevoli, o le spese per investimenti. Nella situazione attuale questo problema sembra ancora lontano.
Lontano ma non impossibile. Tutto dipende infatti da cosa accadrà in futuro. Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti, in?Eurolandia l’inflazione di fondo tende ad avvicinarsi all’inflazione complessiva. Sulla base di questa relazione, puramente statistica, ci si potrebbe aspettare che in futuro anche i prezzi dei beni e dei servizi non energetici inizino a scendere. Non è chiaro però quale meccanismo entrerebbe in funzione in questo caso. Quando l’indice dei prezzi è in rialzo, entrano in gioco gli adeguamenti automatici dei salari, ancora presenti in diversi settori di alcuni paesi. Quando invece, come nel caso attuale, l’indice è in flessione, gli adeguamenti automatici non scattano e quella relazione statistica potrebbe saltare.
Questo non significa però che le aspettative di inflazione non abbiano un ruolo, anzi. Nell’economia più sana di Eurolandia, in Germania i Bund esprimono, secondo le indicazioni di Lars Christensen di Den Danske Bank, attese di inflazione negativa per cinque anni. Non è solo una questione di petrolio, che non potrà calare per tanto tempo. Al momento, queste attese pesano soltanto sul mondo finanziario: portano i tassi di interesse a livelli bassissimi, tra le proteste dei risparmiatori.
La politica monetaria dà un’enorme importanza a queste aspettative, più che ai prezzi del passato, per quanto recente. In questo senso, i dati di ieri potrebbero favorire l’adozione di nuove iniziative da parte della Banca centrale europea, da mesi bloccata nella discussione sull’opportunità di generare liquidità attraverso l’acquisto di titoli di Stato (il quantitative easing) allo scopo di “liberare” i bilanci delle banche e spingerle a investire nell’economia reale.
Non si possono dimenticare, in ogni caso, due altri aspetti. Il primo riguarda i fattori di rialzo dei prezzi già in azione. L’euro più debole, innanzitutto, farà aumentare il costo dei beni importati (dai paesi non euro, ovviamente). Alcuni saranno sostituiti da prodotti interni di Eurolandia, altri spingeranno l’inflazione. Il secondo riguarda le differenze tra i paesi: per una Spagna con prezzi in calo dell’1,1%, c’è una Germania che presto potrebbe davvero vedere un rialzo dell’inflazione. Sta per essere introdotto il salario minimo, mentre i contratti collettivi prevedono aumenti dei salari importanti e la disoccupazione è scesa ai minimi storici, il 6,5%. Non è una tendenza da temere, anzi: rende più convenienti i beni spagnoli rispetto a quelli tedeschi, una sorta di svalutazione interna. Dolorosa, ma necessaria in un’unione monetaria.