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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

Per il premio Nobel per l’Economia Michael Spence «il pericolo è serio. Spero che questa notizia sulla deflazione in Europa convinca finalmente la Germania ad accettare quanto meno un serio programma di interventi per contrastarla, perché altrimenti i suoi effetti danneggeranno tutti»

Il premio Nobel per l’Economia Michael Spence esprime un desiderio: «Spero che questa notizia sulla deflazione in Europa convinca finalmente la Germania ad accettare quanto meno un serio programma di interventi per contrastarla, perché altrimenti i suoi effetti danneggeranno tutti».
Da dove viene la deflazione?
«L’Europa aveva già un’inflazione molto bassa, a causa dell’eccesso di produzione unita alla scarsa domanda. Se a questo si aggiungono il calo del prezzo del petrolio, e altri elementi come la riduzione degli affitti e del valore delle proprietà, è facile scendere nella deflazione».
Perché è così pericolosa?
«Di fatto provoca un aumento dei tassi reali, anche se quelli nominali restano fermi, e contribuisce a deprimere un’economia che è già in difficoltà».
Perché negli Stati Uniti non c’è la deflazione?
«Anche noi non abbiamo al momento inflazione. La pressione è molto ridotta, direi neutrale. Il calo del petrolio fa scendere i nostri prezzi, ma è bilanciato dalla ripresa».
Come mai l’America cresce al ritmo del 5%, e l’Europa di fatto è di nuovo in recessione?
«Ci sono diverse ragioni. La prima è certamente la maggior flessibilità del nostro sistema economico, che si è adeguato più rapidamente di quello europeo alla crisi. Poi però ci sono stati anche forti interventi da parte del governo per sostenere il settore finanziario, che sono stati criticati perché hanno premiato comportamenti sbagliati, ma comunque hanno salvato il sistema, e gli interventi della Federal Reserve attraverso il cosiddetto quantitative easing, cioè l’acquisto dei bond. Ora poi il settore pubblico sta ricominciando a spendere, o quanto meno non è più negativo, e anche se la distribuzione della ricchezza resta problematica, la crescita ha acquistato rapidità. In Europa, in sostanza, non c’è stato nulla di tutto questo. La stessa Germania, che si regge sulle esportazioni nel continente e in Asia, comincia a soffrirne».
Proprio Berlino finora ha imposto l’austerità e frenato gli interventi della Banca centrale europea.
«Capisco che sulle politiche per favorire la crescita possano esistere differenze, ma spero che davanti alla deflazione la Germania muti linea. È un pericolo oggettivo che va affrontato, con un programma serio».
Cosa dovrebbe fare la Bce?
«I dettagli li lascio al presidente Draghi, ma è chiaro che a questo punto serve un intervento simile al quantitative easing della Fed».
Fra la recessione, la deflazione e l’instabilità politica in Paesi come la Grecia, ha ragione chi prevede la prossima fine dell’euro?
«No, non credo. La Grecia è un caso a parte, ma ha ragione Draghi quando dice che le riforme strutturali sarebbero sufficienti a salvare l’Unione. Il problema sono i tempi e la profondità. Se non verranno fatte in fretta e bene, il rischio diventa un aumento della disoccupazione e della disillusione, soprattutto fra i giovani. Questo aiuterebbe i movimenti contrari all’euro, che però così non verrebbe abbattuto dai suoi problemi economici, ma dalla scarsa sagacia dei politici».