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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

È ufficiale: l’Europa è entrata in deflazione, cioè in una condizione potenzialmente incendiaria se unita a una crescita economica negativa, a un alto debito pubblico, a qualche impennata di troppo sul deficit. L’euro scende a quota 1,18 sul dollaro, mai così giù dal 2006. L’effetto del petrolio e il calo dei consumi

Non è più la previsione di ieri, è la certezza di oggi. L’istituto di statistica Eurostat ha confermato dai suoi ultimissimi calcoli che a dicembre l’Eurozona è entrata in deflazione, cioè in una condizione potenzialmente incendiaria se unita a una crescita economica negativa, a un alto debito pubblico, a qualche impennata di troppo sul deficit.
Adesso l’inflazione si è prima azzerata, e poi è passata al segno negativo nei 19 Paesi dell’euro, o in quasi tutti. Un dato che ha spinto l’euro a quota 1,18 sul dollaro, il livello più basso registrato negli ultimi nove anni. I pessimisti si aspettavano in media per dicembre un calo dei prezzi intorno al -0,1%. ma il calo si rivela più marcato, a quota -0,2%. Una caduta mai così forte dal 2009 in poi. Mentre l’obiettivo della Banca centrale europea sarebbe quello di arginare l’incremento dei prezzi intorno al +2%. Quell’opposto -2% è, appunto, la deflazione classica, che segue alla cosiddetta inflazione negativa: nel 2014, il tasso medio annuo di incremento dei prezzi in Italia (+0,2%) ha toccato infatti il suo punto minimo dal 1959. Questo, spiega un’analisi della Coldiretti, anche a causa «dei prezzi dei prodotti alimentari non lavorati come frutta, verdura, carne e pesce fresco che fanno registrare una riduzione dello 0,8% annuo e sono di fatto in deflazione». Può essere un vantaggio, dicono alcuni economisti: prezzi più miti possono stimolare la domanda e indirettamente anche il potere d’acquisto, dunque i consumi. Ma altri ribattono: se la saccoccia è vuota, soprattutto vuota di fiducia, chi ha paura continua ad avere paura e i consumi restano tuffati nella palude. Cioè tornano al livello di 33 anni fa, come sta accadendo adesso.
Non tutti sono Cassandre, però. C’è anche chi spera qualcosa, dall’incupirsi della situazione: non perché ne goda o sia menagramo, ma perché questo gli fa confidare sempre più nel miracolo tanto implorato, il q.e. o «quantitative easing», cioè le iniezioni-prestiti agevolati che la Bce potrebbe concedere alle varie banche dei Paesi più fragili, e – si spera sempre – ai loro cittadini. Operazione straordinaria, il famoso bazooka che potrebbe partire il 22 gennaio, all’ultima riunione della Bce prima delle elezioni greche. A sperare più di tutti nel quantitative easing sono le Borse, come hanno fatto vedere anche ieri: tentativi di riscossa dei listini un po’ dovunque, poi l’afflosciamento che ha coinvolto anche Milano. Intanto Berlino, e anche Alexis Tsipras da Atene, cercano di gettar acqua sul fuoco: mai pensato al Grexit, l’uscita dalla Grecia dall’euro. Manca poco, basteranno tre settimane per capire.