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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

Otlet, il bibliografo che, nel primi del ’900, con il suo archivio della conoscenza, perfettamente indicizzato, concepì le basi del web. Un motore di ricerca cartaceo

Qualcuno da qualche parte del mondo cerca informazioni su un certo argomento. Invia la propria richiesta, questa viene elaborata e in risposta arrivano informazioni, documenti, immagini. È una scena che oggi non ci stupisce più e che ogni istante coinvolge milioni di persone in tutto il mondo. Più stupefacente è che una scena molto simile nella sostanza, seppure su scala minore e con tecnologie ovviamente diverse, avvenisse già agli inizi del secolo scorso, molti decenni prima che facessero la loro comparsa i primi personal computer e perfino il primo microchip. A renderla possibile era l’opera e la visione del bibliografo e imprenditore belga Paul Otlet, fondatore del Mundaneum, una sorta di “palazzo universale della conoscenza” che dopo varie vicissitudini ha oggi una nuova sede nella città belga di Mons. Il Mundaneum riaprirà al pubblico la parte espositiva nel 2015, anno in cui Mons sarà una delle capitali europee della cultura.
Quello di Otlet è un nome oggi sconosciuto ai più, ma che all’epoca era frequente vedere vicino a quello di capi di stato e premi Nobel, e che studiosi e addetti ai lavori oggi considerano un pioniere dell’età dell’informazione e perfino un antesignano della rete contemporanea. “L’idea del world wide web germinò nella mente di Paul Otlet”, ha scritto l’informatico Robert Cailliau, che sviluppò il world wide web così come noi lo conosciamo insieme al collega Tim Berners-Lee agli inizi degli anni Novanta.
Otlet nacque a Bruxelles nel 1868. La famiglia lo indirizzò controvoglia verso lo studio del diritto e una carriera da avvocato. L’aspetto che lo interessava di più dell’ambito giuridico erano le bibliografie. In un saggio del 1892 osservò che i libri erano un sistema poco efficace di organizzare le informazioni, in quanto affidato all’arbitrio del singolo autore. Meglio sarebbe stato suddividerle in “pacchetti” o singole schede che potessero essere facilmente richiamate o permettere riferimenti incrociati. Con un altro laureato in legge, Henri La Fontaine, sviluppò un formato di scheda bibliografica che divenne lo standard internazionale e il sistema ancora oggi utilizzato di classificazione universale decimale, applicabile ad ogni tipo di documento e supporto (libri, video, oggetti) ed alle loro relazioni, che si rivelerà particolarmente adatto al trattamento meccanizzato ed informatizzato dei dati. Negli anni successivi nacque il progetto di una “bibliografia universale”. I due iniziarono a raccogliere e classificare e sintetizzare i dati contenuti in documenti di ogni tipo: non solo libri ma foto, immagini, rapporti, articoli di giornale, manufatti. Fu avviato un servizio per fornire documentazione a pagamento. Si poteva scrivere o inviare un telegramma e si riceveva il materiale pertinente, e perfino un avviso quando ad una richiesta potevano corrispondere “più di cinquanta risultati”. Nel 1912 lo staff di Otlet gestiva già 1500 richieste all’anno; nel 1927 poteva contare su un archivio di oltre 15 milioni di documenti. Secondo il suo biografo Alex Wright, il sistema rappresentava una sorta di “World Wide Web analogico”. L’archivio trovò una sede fisica stabile nel Mundaneum, un centro di documentazione che aprì le proprie porte ufficialmente nel 1920, nel Palais du Cinquantenaire di Bruxelles. L’idea di un “palazzo universale della conoscenza” era strettamente legata alle idee politiche e all’impegno internazionalista e di Otlet e La Fontaine – quest’ultimo ricevette il premio Nobel per la pace nel 1913. Il Mundaneum avrebbe dovuto essere al centro di un progetto più ampio di “città mondiale” con cui Bruxelles avrebbe ospitato il quartier generale della Società delle Nazioni. Un’altra sede del Mundaneum, disegnata da Le Corbusier, era prevista a Ginevra. I progetti fallirono, ma Otlet continuò a sviluppare le proprie idee, il proprio sogno di una rete globale (“réseau mondial”) in cui “tutto sarà registrato a distanza nel momento in cui viene prodotto. Da lontano, chiunque potrà leggere un testo in forma espansa o limitata. Così, chiunque dalla propria poltrona potrà contemplare qualunque creazione o le sue parti”. Nei suoi schizzi e note prefigurò addirittura sistemi di riconoscimento vocale, reti senza fili per consentire agli utenti di caricare documenti, perfino una sorta di social network che accedendo ad un certo contenuto mediale “permettano di parteciparvi, applaudire, cantare in coro”. Le collezioni del Mundaneum rimasero a Bruxelles fino al 1940, quando il Belgio fu invaso. L’esercito nazista distrusse 63 tonnellate di documenti per far posto ad un’esposizione sull’arte del Terzo Reich. In questi anni una parte dell’archivio e della collezione originale di Otlet è stata recuperata ed oggi trova spazio nella nuova sede del Mundaneum a Mons. Visitarla sarà un’occasione per vedere da vicino quello che rimane dell’utopia di Paul Otlet. E magari per chiedersi come sarebbe cambiato il mondo se la rete si fosse sviluppata come, magari un po’ ingenuamente, se la immaginava lui: non mero sviluppo tecnologico, ma parte di un più ampio progresso culturale e sociale, oltre che garanzia di una più pacifica convivenza tra le nazioni.