Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

I guardiani dei gorilla. Un giro tra le foreste del Congo con i ranger che li proteggono dalla guerra, dai bracconieri e dal raffreddore. Anche a costo della loro vita

A proteggere il clan c’è un gigante dallo sguardo triste, con il manto argentato e il cranio grosso come quello di un cavallo. Nonostante i suoi duecento chili di muscoli e l’ampia letteratura sulla sua ferocia, King Kong è in realtà una creatura pigra e mansueta. «Ma è meglio parlare sottovoce e non avvicinarsi troppo, perché potrebbe sentirsi minacciato e caricarci, anche se la sua sarebbe soltanto la parodia di un’aggressione», sussurra Jean-Pierre, il ranger che ci accompagna nella foresta del parco di Virunga, dove tutto ha dimensioni ciclopiche, non solo il capobranco di questa famiglia di gorilla di montagna in cui ci siamo appena imbattuti in una radura a 3300 metri, ma anche gli uccelli dal piumaggio multicolore, i licheni che pendono dai rami o le farfalle nere e turchesi. «Soprattutto, se deve starnutire si metta le mani davanti alla bocca, perché i gorilla sono vulnerabilissimi ai germi del nostro raffreddore».
Purtroppo, oltre che dai microbi dell’uomo, il Gorilla beringei, come viene chiamato questo maestoso bestione nel latino di Linneo, è oggi minacciato da ben altre insidie. Ormai, allo stato brado sopravvive soltanto nella foresta che ricopre una catena montagnosa, in gran parte costituita da alti vulcani, tra Repubblica democratica del Congo, Ruanda e Uganda. Liberi, di gorilla ne sono rimasti, sì e no ottocento in tutto.
Per loro, il principale flagello è il conflitto che da 20 anni funesta il Congo orientale, e che alcuni hanno battezzato la Prima guerra mondiale d’Africa per i suoi 5 milioni di morti e per i numerosi Paesi che negli anni vi hanno partecipato. Si combatte spesso sulle falde dei vulcani, ai piedi del Virunga, con sconfinamenti frequentissimi in questo santuario, il che ha conseguenze drammatiche anche per i gorilla, terrorizzati dal fragore delle bombe, dall’assordante ronzio delle pale di elicottero o dalle popolose processioni di profughi in fuga. «Senza contare le soldataglie che sparano ai gorilla di montagna solo per diletto», aggiunge Jean-Pierre. Due anni fa, le feroci milizie M23istallarono il loro quartier generale proprio all’interno del Parco, che fu ovviamente chiuso ai turisti. Per sloggiare i ribelli, l’esercito regolare impiegò quasi un anno.
L’altro grave rischio è costituito dal bracconaggio: per la carne di gorilla, molto apprezzata dai locali; per fabbricare trofei (un tempo negli Stati Uniti, e oggi in Cina, sono molto richieste le zampe per fabbricarne posacenere); e, infine, per i cuccioli da vendere agli zoo (anche se per catturarne uno è spesso necessario abbattere tutta la famiglia). Dice ancora Jean-Pierre: «È con i bracconieri che noi rangers abbiamo più problemi. Ma da qualche tempo siamo aggrediti anche dalle popolazioni che circondano il Parco di Virunga. Sono, per lo più, persone poverissime, quindi affamate. E quando si ha fame si è disposti a compiere qualsiasi crimine».
Il terzo, gravissimo rischio che grava sui nostri lontani cugini è la veloce e irreversibile scomparsa del loro habitat, con l’abbattimento annuo del 15 per cento della foresta del Parco. Al suo interno è vietatissima ogni attività umana ma Jean-Pierre e i suoi colleghi sono continuamente chiamati a dare la caccia a chi disbosca per farsi un orticello dove coltivare patate e riso. Ben più grave è la distruzione della foresta per il commercio illegale di legna. Da anni, infatti, per via della guerra nella disastrata città di Goma, alle porte del Virunga, c’è penuria di bombole di gas per scaldarsi e cucinare. Ora, per fabbricare il suo surrogato, il carbone di legna, qui chiamato makala, si abbattono gli alberi della sola giungla rimasta intatta, quella del Parco. «I contrabbandieri dimakala sono violenti come gli uomini delle milizie. Appena ci vedono cominciano a spararci addosso: con loro sono sempre battaglie cruentissime. Negli ultimi 15 anni, in questi scontri a fuoco, sono rimasti uccisi 150 rangers».
Eppure, i gorilla di montagna sono diventati un’attrazione turistica che solo nella Repubblica democratica del Congo genera migliaia di posti di lavoro, e che nel vicino Ruanda ha un indotto di 300 milioni di dollari l’anno. Il Wwf ha calcolato che nel corso della sua vita un solo esemplare produce circa 4 milioni di dollari. Senza la guerra, questa cifra si potrebbe moltiplicare per dieci. «Ma sono animali che vanno protetti per un altro motivo: ognuno di loro ha un valore inestimabile soprattutto perché è una specie in via di estinzione», spiega Jean-Pierre.
Fino a pochi mesi fa, sui gorilla del Virunga pesava un’altra, taglientissima spada di Damocle: le prospezioni petrolifere che stava compiendo una compagnia di idrocarburi britannica alla ricerca di nuovi giacimenti. Al momento, però, questa minaccia è svanita, perché la compagnia ha appena annunciato la fine delle esplorazioni. Affinché il Parco rimanga a lungo così com’è, senza pozzi da cui pompare greggio, l’Unesco ha chiesto al governo congolese che vi bandisca ogni tipo di ricerca petrolifera. Ma da Kinshasa ancora non si sono pronunciati.