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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

La paura di fare il poliziotto a New York: «Ma quando alle tre del mattino ti svegli per un rumore sospetto in cantina, chi chiamate voi che ci date dei boia e dei razzisti, chi chiamate De Blasio? Obama? Il New York Times?»

Oltre il “Grande Muro Blu”, come Frank Serpico chiamava “the Force”, la polizia di New York, i 34 mila soldati che combattono ogni giorno la guerra nelle strade vivono chiusi nell’assedio del rancore e del risentimento contro tutti. Il sindaco, i politici, i media, i liberal, l’ipocrisia che loro leggono negli sguardi bassi di chi li accusa mentre segretamente, e senza osare dirlo, li applaude. «Noi siamo gli assassini, noi siamo il Ku Klux Klan, noi siamo i porci» mi dice Brian, un detective con diciassette anni di anzianità che incontro per caso a un party di Capodanno, per uno di quegli strani incroci di conoscenze che si fanno attraverso figli e nipoti a scuola. «Ma quando alle tre del mattino ti svegli per un rumore sospetto in cantina, chi chiamate voi che ci date dei boia e dei razzisti, chi chiamate, quello che oggi guida i cortei contro di noi? De Blasio? Obama? Il New York Times ? ».Non è mai stato facile essere un agente di pubblica sicurezza, lo sbirro, il porco, il “cop” come si dice qui abbreviando l’inglese “copper”, parola di oscura origine, forse da “cop”, prendere o dal “copper”, il rame. Ma non è mai stato tanto difficile e pericoloso come in città, contee, in nazioni dove ci sono più di 310 milioni di armi da fuoco nelle tasche, sotto le felpe, nelle borsette, nel portaoggetti delle automobili, spesso legalmente nascoste. Tra la beatificazione artificiale celebrata da film e telefilm polizieschi e la realtà di uomini e donne che si sentono, come dice Brian, «bersagli da tiro a segno», la semplice realtà è quella che il primo serial tv che avesse osato avvicinare la realtà di essere un “cop”, lo “Hill Street Blues”, narrava quando il sergente di giornata avvertiva gli agenti al mattino: «E state attenti, perché è una giungla, là fuori».Una guerra che produce il massimo numero di cittadini uccisi dalle forze dell’ordine – 458 nel 2013 – e di agenti morti in servizio, 165. Nessun altra nazione, almeno tra quelle che pubblicano dati e statistiche credibili e hanno un sistema di informazione passabilmente libero per verificarle, arriva neppure a sfiorare questa carneficina. Le vittime del fuoco “amico”, dei colpi esplosi da quegli agenti che giurano di servire e di proteggere la popolazione che paga le loro retribuzioni, sono state zero in Giappone e in Gran Bretagna e otto in Germania. I “cop” americani sparano troppo e con troppa disinvoltura. E con troppa disinvoltura si spara a loro, ieri due agenti sono stati feriti nel Bronx durante una rapina.«All’Accademia di polizia ci insegnano a mirare sempre al bersaglio grosso, al tronco fra il collo e la vita. In un conflitto a fuoco, nessun agente ha il tempo, la freddezza o la mira per puntare alle braccia, alle gambe» racconta Brian il detective, che fra tre anni potrà andare in pensione ad appena 46 anni, dopo 20 di servizio, con l’80 per cento dello stipendio, l’assicurazione sanitaria a vita e conta i giorni. Ma ogni volta che un poliziotto di pattuglia viene chiamato dal centralino del 911 o dal proprio “precinct”, dal commissariato, per indagare su liti famigliari, sospetti di furti o di rapine, allarmi che ululano nelle notte, la buona retribuzione, che è il doppio del reddito medio nelle grandi città e a New York supera facilmente i 100 mila dollari lordi all’anno con gli immancabili straordinari, non è il salario, è la vita che mettono in gioco.Una vita da “cop” che, politicamente, sembra oscillare nel suo valore morale con il mutare del vento nell’opinione pubblica. Dagli anni del sospetto e dello scandalo rivelato da Serpico fino all’ammutinamento dei “soldati blu” che oggi voltano le spalle al sindaco de Blasio e praticano scioperi bianchi dimezzando il numero degli arrestati, la loro quotazione è salita e discesa come quella di un titolo in Borsa. Raggiunse il picco nell’autunno del 2001, quando 71 poliziotti lasciarono la vita nelle macerie del World Trade Center cercando invano di salvare l’insalvabile e ha toccato il fondo nelle ore della morte di Michael Brown a Ferguson nel Missouri, del ragazzino Tamir Rice a Cleveland e dell’obeso e asmatico Eric Garner a Staten Island, colui che pronunciò le ultime parole destinate a scolpirsi come un perfetto titolo di giornale o video clip per YouTube negli occhi del mondo: «I can’t breathe», non riesco a respirare.Più delle morti, è il senso di immunità e di impunità che sembra circondare il poliziotto che spara, a accendere il fuoco dei sospetti e dei risentimenti razziali. Le giurie, e soprattutto i Grand Jury, quelli che devono esaminare le accuse e decidere il rinvio a giudizio, recalcitrano sempre di fronte a un poliziotto imputato. C’erano americani di colore anche a Ferguson, a New York, a Los Angeles che hanno votato per il proscioglimento degli agenti, perché anche i neri, i gialli, i rossi, i rosa, tutti vivono nella quotidiana ambivalenza del rapporto con il “cop”. Tutti sanno di poter avere bisogno, una notte, di quella macchina in bianco e nero che arriva a sirene spiegate.È la stessa ambiguità, la stessa contradditorietà che a New York lacera de Blasio, italo americano con moglie e figli di sangue misto e divide le opposte demagogie dei leader politici. Rudy Giuliani li invitava a essere inflessibili e ad applicare la formula della «finestra rotta», intervenire laddove lo stato di abbandono di edifici e strade indicava la probabilità altissima del crimine prima che avvenisse. Il presidente Clinton fece arruolare poliziotti nuovi a migliaia, per togliere ogni sospetto di compiacenze di sinistra, e de Blasio – che ora attacca gli agenti per la loro protesta “irriguardosa” – sembra tradirli, darli in pasto alla collera degli attivisti neri, quelli che sono indispensabili per incanalare i voti nei giorni delle elezioni.«Diventiamo pedine nel gioco della politica, mosse da chi non corre nessun rischio, cattivi quando serve un cattivo, buoni quando serve un eroe di latta per un giorno» sospira Brian che mi racconta un aneddoto cinico e amaro: «Ai nuovi arrivati freschi di Accademia, diciamo che il miglior modo per evitare guai al momento di un arresto è di dare le manette al sospetto e dirgli di mettersele da solo». Ovunque, lungo le strade, insieme con le pistole comprate illegalmente per pochi soldi e molto più sofisticate dei vecchi catenacci chiamati “Gli Speciali del Sabato Sera”, oggi occhieggia una telecamera di sorveglianza o un passante con uno smartphone che può filmare l’arresto, come nel caso di Garner soffocato.Una forza di polizia «senza il consenso e il sostegno della popolazione non può essere una buona polizia», ha detto William Bratton, il capo degli agenti del NYPD, e il consenso e il sostegno per i “cop” fra gli americani di colore è al minimo storico – 13 per cento – così come è sceso drasticamente la proporzioni di afroamericani nelle classi di diplomati all’Accademia, la metà nel 2014 di quanti furono dieci anni or sono. «Ci sentiamo come soldati al fronte lasciati a morire e uccidere mentre i generali si fanno belli in retrovia» lamenta Brian prima dell’amaro brindisi di mezzanotte. «Happy New Year» poliziotto. Buon Anno, cittadino.