Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

A guidare Rio 2016 ci sarà un telepredicatore deputato, all’Agricoltura una regina della motosega nota per le sue campagne a favore degli agricoltori in Amazzonia, altre poltrone sono finite a inquisiti, figli di ras di provincia ormai impresentabili e politici assai lontani per competenze. ... Lo strano governo di Dilma II

«Di sport so poco, ma fidatevi: capisco le persone». Chi lo ha detto? L’uomo che tra un anno e mezzo dovrà gestire una Olimpiade, cioè il nuovo ministro brasiliano dello Sport. Si chiama George Hilton, ha 43 anni, faccia tonda e modi suadenti. Insediatosi, come tutto il secondo governo di Dilma Rousseff, il giorno di Capodanno. Nella vita Hilton alterna la professione di telepredicatore a quella di deputato, è teologo, pastore evangelico, ma ha conquistato l’incarico per una ragione assai terrena: è uno dei leader di un partito che insieme ad un’altra decina di sigle dovrà garantire una maggioranza parlamentare al governo Dilma II. In cambio ovviamente di posti, potere e soldi pubblici da gestire. Il suo Prb, Partito repubblicano brasiliano, è il braccio politico di una delle potenti chiese pentecostali del Paese, la Universal guidata dal miliardario «vescovo» Edir Macedo. Milioni di fedeli.
Un pastore al governo garantisce non solo il suo piccolo partito, ma tutta la lobby trasversale degli evangelici, decine di deputati e senatori senza i quali in Brasile non si governa. Di sport e Olimpiadi, «fratello George» forse imparerà strada facendo. Sempre se dura. La giustizia brasiliana si sta ancora chiedendo che cosa ci facesse il buon pastore qualche anno fa, con 600.000 reais in contanti divisi tra undici valigie imbarcate su un aereo. Denaro dei fedeli, disse, dècime per Nostro Signore. Nel dubbio, il suo partito di allora decise di espellerlo. Nel frattempo Hilton è stato deputato per ben tre legislature: non vi è traccia di un discorso o un atto parlamentare minimamente legati allo sport.
Rieletta lo scorso ottobre con un margine assai stretto e nei guai fino al collo tra scandali ed economia, Dilma Rousseff ha appena varato un team di ministri come il Brasile non aveva mai visto. Sono ben 39 poltrone, due in più del già pasciuto gabinetto uscente. Un numero necessario per sfamare allo stesso tempo le varie correnti del suo Pt (14 dicasteri), il grande alleato Pmdb (6) e altri otto partiti e partitelli della coalizione. Il caso Hilton è il più emblematico, ma non il solo. Equilibrismi raggiunti dopo settimane di trattative con il bilancino hanno partorito altre scelte imbarazzanti per la sinistra brasiliana. All’Agricoltura, per esempio, la deputata Kátia Abreu rappresenta apertamente gli interessi dei latifondisti. Gli ambientalisti l’hanno soprannominata «regina della motosega» per le sue campagne a favore degli agricoltori in Amazzonia e contro i tentativi di conservazione della natura. È un’amica di Dilma e, come avviene con gli evangelici, la «presidenta» ha bisogno di assicurarsi l’appoggio della lobby agricola. Altre poltrone sono finite a inquisiti, figli di ras di provincia ormai impresentabili, politici assai lontani per competenze.
All’Economia è andato un rispettato economista neoliberale, Joaquim Levy, il quale ha promesso di fare tutto quello che Dilma aveva escluso in campagna elettorale: per cominciare tagli alle spese e rigore finanziario. Ce la farà Levy? Finirà vittima del fuoco amico o della stessa Rousseff, nota per le sue incursioni nelle scelte economiche?
Dilma non godrà di alcuna luna di miele, stavolta. Il maxiscandalo della Petrobras pende sulla sua testa, l’opposizione potrebbe spingersi fino alla richiesta di impeachment. Il pool di giudici brasiliani che si è ispirato al nostro Mani Pulite per svelare una grande rete di mazzette dovrebbe rendere noti a giorni i nomi dei politici accusati dai pentiti di aver ricevuto denaro per agevolare appalti. Non potranno essere giudicati dalle corti normali, perché in Brasile gli eletti sono sottoposti a indagini di commissioni parlamentari e poi della Corte Suprema. Oltre che per far approvare le sue proposte, Dilma ha dunque bisogno di un Congresso amico per rintuzzare gli attacchi dell’opposizione. Non è in discussione la sua onestà personale, ma la compagnia petrolifera pubblica l’ha avuta in pugno per parecchi anni come ministro e capo di Stato. Il «non sapevo nulla» che ha salvato Lula da scandali simili durante il suo mandato stavolta potrebbe non servire più.