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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

La legge elettorale, la scomparsa dell’opposizione e l’autostrada di Renzi

Contrariamente a quanto talvolta si dice, le leggi elettorali non «producono» direttamente gli esiti politici. È la politica a produrli. Le leggi elettorali, però, creano incentivi e disincentivi, vincoli e opportunità, che facilitano o ostacolano le diverse azioni politiche e, per conseguenza, aumentano o diminuiscono le chance di certi esiti politici. Si può dire che una buona legge elettorale debba accrescere le probabilità che ci sia un vincitore netto, inequivocabile e che, al tempo stesso, debba contribuire a ridurre la frammentazione parlamentare: se l’opposizione risultasse troppo debole e frammentata nessuno potrebbe prenderla in considerazione come possibile vincitrice delle elezioni successive. Confermando di essere il furbissimo politico che sappiamo, Matteo Renzi ha preparato un progetto di riforma (la cui discussione comincia oggi in Aula al Senato) che, se approvata così com’è, renderebbe assai probabile la prima eventualità (la possibilità di un vincitore netto) ma non la seconda (la riduzione della frammentazione e dell’impotenza dell’opposizione).
La legge prescrive una cosa ottima: crea un’autostrada che può portare, grazie al premio di maggioranza, il partito favorito, il più forte del momento, a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi e a governare da solo. La legge, però, prescrive anche una cosa pessima: uno sbarramento solo del 3 per cento per tutti i partiti. Se la legge passerà così, lo scenario più probabile dopo le prossime elezioni sarà il seguente: il Pd ottiene la maggioranza assoluta, l’opposizione risulta invece divisa e frammentata fra un gran numero di partiti piccoli e medi. Il guaio è che questo, plausibilmente, non sarebbe solo lo scenario della prossima legislatura ma di diverse legislature a venire: un governo monocolore (Pd) con di fronte a sé il nulla, ossia un’opposizione vociante e impotente senza nessuna possibilità di costituire una minaccia elettorale seria per l’esecutivo in carica. Si aggiunga che, con la riforma del Senato, quest’ultimo passerebbe sotto il controllo pressoché totale del Pd, data la sua posizione dominante negli enti locali e regionali.
Naturalmente, la politica può sempre mettersi in mezzo e mandare all’aria piani e calcoli ma è evidente che la proposta di legge è stata costruita con le finalità che ho detto. La ragione che rende apprezzabili i sistemi maggioritari con collegi uninominali è che in quei sistemi sono alte sia le probabilità di un vincitore netto che quelle di una spinta alla (ri)composizione dell’opposizione.
Con l’attuale proposta, invece, la sorte dell’opposizione appare segnata: verrebbe ad essere costituita in permanenza da tante piccole e medie oligarchie in lotta fra loro, senza alcun progetto che vada al di là della sopravvivenza politica dei singoli oligarchi. 
Sia chiaro: una legge va varata a tutti i costi. Altrimenti, ci ritroveremmo a votare con il pessimo sistema elettorale (proporzionale puro) che ci ha regalato, con una invasione di campo, la sentenza della Corte costituzionale. 
Giunti a questo punto, c’è un solo modo per rimediare, pur mantenendo l’impianto attuale della legge: alzare seriamente la soglia di sbarramento, obbligare i partiti alla riaggregazione. Va aggiunto che l’abbassamento al 3 per cento della soglia di sbarramento non è il solo frutto avvelenato della proposta di legge nella sua formulazione attuale. C’è anche il pasticcio del voto di scambio (ipocritamente denominato voto di preferenza) surrettiziamente reintrodotto, salvo per i capilista. Dato che non si vuole il collegio uninominale non c’è altra strada decente se non quella delle liste bloccate con circoscrizioni piccole. Il voto di scambio (pardon, di preferenza) è invece la soluzione peggiore. Si può fin d’ora immaginare, se davvero il voto di preferenza venisse reintrodotto, quanta agitazione e quanto fervore si registrerebbero improvvisamente in tutte le Procure d’Italia a partire dal giorno successivo alle elezioni. 
È evidente che spetta soprattutto a Berlusconi (il partner del patto del Nazareno) decidere se accettare di fare i suddetti regali a Renzi, e ai clientes politici che quest’ultimo vuole accontentare. Le leggi elettorali sono, di solito, vestiti che i vincitori si cuciono addosso e non c’è da scandalizzarsi per questo. Ma, per lo più, i vincitori del momento sono costretti, mentre fanno la legge, a stipulare compromessi, a fare concessioni all’opposizione. A seconda della natura di quegli accordi si avranno leggi migliori o peggiori. I «compromessi» fin qui visti non appaiono fra i migliori. 
P.S. Non sarebbe male se si usasse l’occasione della nuova legge anche per mettere un freno a certi nostri cattivi costumi. Sarebbe bene eliminare, ad esempio, il poco glorioso istituto delle «candidature plurime»: i candidati (di solito i leader) che si presentano in più circoscrizioni. Paracaduti di riserva (se il candidato perde in una circoscrizione potrà essere ripescato in un’altra) e specchietti per le allodole (il povero elettore crede di votare il leader ma in realtà sta eleggendo, a sua insaputa, uno sconosciuto), le candidature plurime ci ricordano soprattutto quanto scarso sia il rispetto della classe politica per gli elettori.